A Cesare perché rinnovi il sistema elettorale

In primis auctoritatem pecuniae demito; statue ut neque praetor neque consul quisquam ex opulentia, sed ex dignitate, creetur. Neque Rhodios neque alias civitates unquam iudiciorum suorum (delle loro decisioni) paenituit, apud quas promiscue dives et pauper, ut fors fert de maximis rebus iuxta ac (così come) de minimis disceptat. Sed in magistratibus creandis mihi quidem haud absurde (non poco) placet lex quam Caius Gracchus in tribunatu suo promulgaverat: ut ex confusis quinque classibus sorte centuriae ad suffragium vocarentur. Ita enim coaequantur dignitas et pecunia et alius alium anteire virtute properabit. Haec ego magna remedia contra divitias puto. Nam omnes res laudantur atque adpetuntur sicut earum usus est. Malitia praemiis exercetur: ubi praemia adempta erunt, nemo gratuito malus est. Ceterum avaritia belua immanis est: quo intendit, oppida, agros, fana atque domos vastat, neque exercitus neque moenia obstant quominus vi sua penetret. At, si pecuniae decus ademeris, haud dubium est quin magna illa vis avaritiae facile bonis moribus vincatur.

Ad Limina (2) – Pagina 253

Innanzitutto togli il credito al denaro; stabilisci che nessun pretore né console sia eletto in base alla ricchezza, ma in base al merito. Né i Rodiesi né altre città si sono mai pentite dei loro giudizi, presso i quali promiscuamente il ricco e il povero, come la sorte vuole, decide di importantissime questioni così come di quelle lievissime. Ma nello scegliere i magistrati a me piace non poco la legge che Caio Gracco aveva promulgato durante il suo tribunato: [cioè] che le centurie venissero chiamate al voto a sorte indistintamente dalle cinque classi. Così, infatti, la dignità e il denaro sono eguagliate e l’uno si affretterà a superare l’altro in virtù. Io ritengo questi grandi rimedi contro la ricchezza. Infatti tutte le cose sono lodate e desiderate in base al loro uso. La malizia è stimolata dalle ricompense: quando le ricompense saranno eliminate, nessuno è malvagio disinteressatamente. Del resto l’avidità è una bestia feroce: ove si indirizza, devasta città, campi, templi e abitazioni, e né l’esercito, né le mura impediscono che penetri con la sua forza. Ma, se toglierai lo splendore al denaro, non c’è dubbio che quella grande forza dell’avidità sarà vinta facilmente dai buoni costumi.