Ad Familiares, II, 11

Putaresne umquam accidere posse ut mihi verba deessent, neque solum ista vestra oratoria sed haec etiam levia nostratia? Desunt autem propter hanc causam quod mirifice sum sollicitus quidnam de provinciis decernatur. Mirum me desiderium tenet urbis, incredibile meorum atque in primis tui, satietas autem provinciae, vel quia videmur eam famam consecuti ut non tam accessio quaerenda quam fortuna metuenda sit vel quia totum negotium non est dignum viribus nostris, qui maiora onera in re publica sustinere et possim et soleam, vel quia belli magni timor impendet, quod videmur effugere si ad constitutam diem decedemus.
De pantheris per eos qui venari solent agitur mandatu meo diligenter. Sed mira paucitas est, et eas quae sunt valde aiunt queri quod nihil cuiquam insidiarum in mea provincia nisi sibi fiat. Itaque constituisse dicuntur in Cariam ex nostra provincia decedere. Sed tamen sedulo fit et in primis a Patisco. Quicquid erit, tibi erit; sed quid esset plane nesciebamus. Mihi mehercule magnae curae est aedilitas tua. Ipse dies me admonebat; scripsi enim haec ipsis Megalensibus. Tu velim ad me de omni rei publicae statu quam diligentissime perscribas; ea enim certissima putabo quae ex te cognoro.

Ci avresti mai creduto che potesse accadermi d’essere a corto di parole, e non solo di parole eloquenti come le vostre, ma anche semplici e banali [levia], come quelle che uso io [nostratia; pl. modestia]? Eppure, (mi) mancano (le parole), per questo motivo: sono straordinariamente preoccupato dell’esito della deliberazione a riguardo delle provincie. Provo grande nostalgia [desiderium] della città [= Roma], un’incredibile (nostalgia) dei miei (cari) e in primo luogo di te, mentre sono stufo [satietas (me tenet)] della provincia, vuoi [vel.] perché ritengo [‘videmur’; pl. modestia, come i seguenti] d’aver conseguito una reputazione tale che [eam. ut] non tanto è da auspicarne un accrescimento, quanto temerne un rovescio [fortuna, in senso negativo], vuoi [vel] perché l’incarico, nella sua interezza [totum], non è adatto alle mie competenze – mi compete [possim] di ricoprire incarichi politici di un certo rilievo, come generalmente faccio [soleam] – vuoi [vel] perché si profila il pericolo di un grande scontro, che ritengo (poter) fugare se me ne andrò per il giorno [nota il femm. di ‘dies’] stabilito.
A riguardo delle pantere [quando Cicerone era proconsole in Celicia nell’Asia Minore, era più volte sollecitato dall’amico Celio, Questore di Roma e destinatario di questa lettera, a procurargli delle pantere], i cacciatori stanno facendo un buon lavoro, su mie disposizioni, benché ce ne sia grave penuria e (per giunta), a quanto si mormora [aiunt], che quelle (pantere) che ci sono deplorano [valde queri] il fatto che, nella mia provincia, le uniche trappole (che io tendo) sono solo per loro. E così, dicono, hanno preso la decisione di emigrare dalla mia provincia alla volta della Caria [Cicerone sta ovviamente usando un linguaggio scherzoso]. Ciononostante, (ti ripeto che) il lavoro viene fatto a puntino [sedulo fit], e soprattutto da Patisco. Il frutto andrà a te, anche se non sono in grado di valutarne appieno la portata [lett. ciò che sarà, sarà per te.; qui, ‘nesciebamus’ tempo epistolare].
Ho – per Ercole! – sinceramente a cuore la tua carica edile! La data stessa me la rammenta [‘admonebat’, tempo epistolare]: difatti, ti scrivo [‘scripsi’, tempo epistolare] queste (righe) proprio [ipsis] durante (i giorni del)le feste megalesi. Vorrei (di contro) che tu mi ragguagliassi, nel modo più dettagliato possibile, sulla situazione politica (a Roma), ché [enim] prenderò per oro colato [putabo certissima] (tutte) le notizie che apprenderò [cognoro = cognovero; legge dell’anteriorità dei futuri] dal tuo resoconto [lett. da te].