Ambiorige si giustifica per avere partecipato alla rivolta

Mittitur ad eos colloquendi causa Gaius Arpineius, eques Romanus, familiaris Quinti Tituri, et Quintus Iunius ex Hispania quidam, qui iam ante missu Caesaris ad Ambiorigem ventitare consuerat; apud quos Ambiorix ad hunc modum locutus est: Sese pro Caesaris in se beneficiis plurimum ei confiteri debere, quod eius opera stipendio liberatus esset, quod Aduatucis, finitimis suis, pendere consuesset, quodque ei et filius et fratris filius ab Caesare remissi essent, quos Aduatuci obsidum numero missos apud in servitute et catenis tenuissent; neque id, quod fecerit de oppugnatione castrorum, aut iudicio aut voluntate sua fecisse, sed coactu civitatis, suaque esse eiusmodi imperia, ut non minus haberet iuris in se multitudo quam ipse in multitudinem. Civitati porro hanc fuisse belli causam, quod repentinae Gallorum coniurationi resistere non potuerit. Id se facile ex humilitate sua probare posse, quod non adeo sit imperitus rerum ut suis copiis populum Romanum superari posse confidat. Sed esse Galliae commune consilium: omnibus hibernis Caesaris oppugnandis hunc esse dictum diem, ne qua legio alterae legioni subsidio venire posset. Non facile Gallos Gallis negare potuisse, praesertim cum de recuperanda communi libertate consilium initum videretur. Quibus quoniam pro pietate satisfecerit, habere nunc se rationem offici pro beneficiis Caesaris.

Cesare

Al colloquio viene inviato C. Arpineio, cavaliere romano, parente di Q. Titurio, insieme a uno Spagnolo, un certo Q. Giunio, che in passato, per incarico di Cesare, si era già più volte recato da Ambiorige. A essi Ambiorige parlò come segue: ammetteva i molti debiti di riconoscenza nei confronti di Cesare (grazie al suo intervento era stato sollevato dal tributo che pagava abitualmente agli Atuatuci, popolo limitrofo; Cesare gli aveva restituito suo figlio e il figlio di suo fratello, che, inclusi nel novero degli ostaggi, erano tenuti asserviti in catene dagli Atuatuci); quanto all’assedio al campo romano, aveva agito non di iniziativa o volontà propria, ma costretto dal popolo, e la sua sovranità stava in questi termini: la sua gente aveva nei suoi confronti gli stessi diritti che aveva lui nei confronti della sua gente. Il popolo, d’altro, canto, era insorto perchè non aveva potuto opporsi alla repentina formazione di una lega dei Galli. E prova evidente di ciò era la sua debolezza: non era tanto sprovveduto da confidare, con le proprie truppe, in una vittoria sul popolo romano. Si trattava, piuttosto, di un piano comune a tutti i Galli: era stato deciso di assediare, in quel giorno, tutti i campi invernali di Cesare, in modo che nessuna legione fosse in grado di soccorrerne un’altra. Come potevano dei Galli, con facilità, opporre un rifiuto alla proposta di altri Galli, soprattutto quando sembrava mirare alla riconquista della libertà comune? Se, dunque, prima aveva aderito alla lega dei Galli per amor di patria, adesso teneva conto del suo dovere per i benefici ricevuti da Cesare.