Amore e Psiche (seconda parte) (Apuleio)

Fabula narrat Venerem confestim Cupidinem, filium suum pinnatum et temerarium, vocavisse: ille flammis et sagittis armatus per domos tota nocte discurrens et omnium matrimonia corrumpens impune committit tanta flagitia. Dea filium perducit ad illam civitatem, Psychen ostendit, et gemens ac fremens indignatione: «Ego te – inquit -, fili mi dulcissime, deprecor; per sagittae tuae dulcia vulnera ulciscere matrem tuam! Effice ut virgo ista, quae maxima cum insolentia honores meos usurpare ausa est, amore flagranti hominis infimi totius orbis terrarum teneatur». Sic effata ac diu filium saviata, Venus ad Oceanum pergit, ubi Nerei filiarum chorus et Tritonum catervae eam excipiunt et laetae comitantur.

Apuleio

La favola narra che Venere chiamò immediatamente Cupido, l’alato e temerario suo figlio: egli, armato di fulmini e di dardi correndo qua e là per tutta la notte per le case e corrompendo i matrimoni di tutti, commette impunemente tante scelleratezze. La dea condusse il figlio in quella città, gli mostrò Psiche, e gemendo e fremendo d’indignazione gli disse: “Io ti supplico, figlio mio dolcissimo; per le piacevoli ferite della tua freccia, vendica tua madre! Fai in modo che questa vergine, che ha osato usurpare i miei onori con la massima insolenza, sia posseduta da un amore ardente per l’uomo più abietto di tutto il mondo”. Dopo aver così parlato e aver baciato a lungo il figlio, Venere si diresse verso l’Oceano, dove il coro delle figlie di Nereo e le schiere dei Tritoni l’accolsero e lieti l’accompagnarono.