Amore e Psiche (terza parte) (Apuleio)

Interea Psyche e perspicua pulchritudine sua nullum fructum percipit. Eius divina species ut simulacrum divinum spectatur ab omnibus, laudatur ab omnibus; nullus vir autem, nuptiarum cupidus, eius petitor accedit, quia ut simulacrum omnes eam mirantur. Duae maiores sorores, quarum temperatam formositatem nullus populus celebraverat, regibus iam nupserant et vitam beatam agebant. Psyche, aegra corporis animique saucia, vidua domi residens, desertam solitudinem suam deflet et formositatem suam fastidit. Sic infortunatissimae filiae miserrimus pater, iram deorum verens, dei Milesii vetustissimum oraculum percontatur, et precibus et victimis pro filia sua nuptias a numine petit. Sed Apollo sic respondit: «Puellam duc funebri ornatu in montem: non generum mortalem habebis sed saevum malum quod pinnis volitans cuncta fatigat et flammaque ferroque singula debilitat».

Apuleio

Nel frattempo Psiche non raccolse nessun frutto dalla sua manifesta bellezza. Il suo aspetto meraviglioso venne da tutti lodato, da tutti guardato come una statua divina; ma nessun uomo, desideroso di nozze, si avvicinò quale suo pretendente, perché tutti l’ammiravano come un simulacro. Le due sorelle maggiori, la cui normale bellezza nessun popolo aveva esaltato, avevano già sposato dei re e conducevano una vita felice. Psiche, sofferente nel corpo e afflitta nell’animo, rimanendo nubile in casa, pianse la sua desolata solitudine e provò avversione per la sua bellezza. Così l’infelicissimo padre di quella sfortunatissima figlia, temendo una collera degli dei, interrogò l’antichissimo oracolo del dio di Mileto, e chiese alla divinità, con preghiere e vittime sacrificali, un matrimonio per sua figlia. Ma Apollo gli rispose in tal modo: “Conduci la fanciulla in abbigliamento funebre su un monte: non avrai un genero mortale, ma un crudele malvagio che, volando qua e là con le sue ali, mette sottosopra tutto quanto e sfinisce col ferro e col fuoco ogni singola persona”.