Battaglia del lago Curzio

Tum Sabinae mulieres, quarum ex iniruia Sabini bellum sumpserant, crinibus passis scissaque veste, se inter tela volantia intulerunt, et, ex transverso impetu facto, diremerunt infestas acies, diremerunt iras. Hinc patres hinc viros orabant, ne se sanguine nefando soceri generique respergerent, ne parricidio macularent partus suos, nepotum illi, hi liberum progeniem. Illae dicebant: «In nos vertite iras; nos causa belli, nos causa vulnerum ac caedium viris ac parentibus sumus; sine alteris vestrum viduae aut orbae non vivemus, sed peribimus (futuro da pereo)». Movet oratio cum multitudinem tum duces. Inde duces foedus faciunt; nec pacem modo, sed civitatem unam ex duabus faciunt. Regnum consociant; ita geminata urbe, ut Sabinis tamen aliquid («qualcosa») daretur, Quirites a Curibus appellati sunt. Monumentum eius pugnae, ubi primum ex profunda emersus palude equus Curtium in vado statuit, Curtium lacum appellaverunt.

Livio

Allora le donne Sabine, per l’oltraggio delle quali i Sabini avevano intrapreso la guerra, sciolti i capelli e strappata la veste, si gettarono tra i dardi che volavano, e, fatta irruzione trasversalmente, divisero le schiere ostili, dirimettero le controversie. Di qua pregavano i mariti, di là i mariti, che non si imbrattassero dell’empio sangue del suocero e del genero, che non macchiassero di assassinio i propri figli, quelli la discendenza dei nipoti, questi quella dei figli. Quelle dicevano: «Volgete le ire contro di noi; noi siamo la causa della guerra, noi la causa delle ferite e delle uccisioni per mariti e genitori; senza gli uni o gli altri di voi non vivremo vedove o orfane, ma moriremo». Il discorso commuove tanto la folla quanto i capi. Quindi i capi fanno un patto; fanno non soltanto la pace, ma un sol popolo da due. Consociano il regno; raddoppiata così la città, affinché ai Sabini si desse tuttavia qualcosa, furono chiamati Quiriti da Curi.