Catone contro le donne

Maiores nostri nullam, ne privatam quidem, rem agere feminas sine tutore auctore voluerunt, in manu esse parentium, fratrum, virorum: nos, si diis placet, iam etiam rem publicam capessere eas patimur et foro prope et contionibus et comitiis immisceri. Quid enim nunc aliud per vias et compita faciunt quam rogationem tribunorum plebi suadent, quam legem abrogandam censent? Date frenos impotenti naturae et indomito animali et sperate ipsas modum licentiae facturas: nisi vos facietis, minimum hoc eorum est quae iniquo animo feminae sibi aut moribus aut legibus iniuncta patiuntur. Omnium rerum libertatem, immo licentiam, si vere dicere volumus, desiderant. Quid enim, si hoc expugnaverint, non temptabunt?

Catone

I nostri antenati vollero che le donne non compiessero nessuna azione, neppure privata, senza l’autorizzazione di un tutore, (vollero) che fossero in mano dei genitori, dei fratelli, dei mariti: noi, se agli dèi è gradito, già permettiamo che esse si diano alla vita politica e quasi si immischino nelle assemblee e nei comizi nel foro. Oggi, infatti, cos’altro fanno per le strade e gli incroci se non consigliare alla plebe la proposta dei tribuni, se non dichiarare che una legge debba essere abrogata? Rilasciate le redini a una natura capricciosa e a una creatura indomita e sperate che le stesse metteranno un limite al capriccio: se non lo farete voi, questa è la cosa più piccola tra quelle che, imposte loro dalle tradizioni o dalle leggi, le donne sopportano con animo scontento. Tra tutte le cose desiderano la libertà, anzi la licenza, se vogliamo parlare chiaramente. Cosa infatti non tenteranno, se otterranno ciò?