Cicerone paragona il proprio otium a quello di Scipione

P. Scipionem, Marce fili, eum, qui primus Africanus appellatus est, dicere solitum scripsit Cato, qui fuit eius fere aequalis, numquam se minus otiosum esse, quam cum otiosus, nec minus solum, quam cum solus esset. Magnifica vero vox et magno viro ac sapiente digna; quae declarat illum et in otio de negotiis cogitare et in solitudine secum loqui solitum, ut neque cessaret umquam et interdum conloquio alterius non egeret. Ita duae res, quae languorem adferunt ceteris, illum acuebant, otium et solitudo. Vellem nobis hoc idem vere dicere liceret[…]. Sed nec hoc otium cum Africani otio nec haec solitudo cum illa comparanda est. Ille enim requiescens a rei publicae pulcherrimis muneribus otium sibi sumebat aliquando et coetu hominum frequentiaque interdum tamquam in portum se in solitudinem recipiebat, nostrum autem otium negotii inopia, non requiescendi studio constitutum est. Extincto enim senatu deletisque iudiciis quid est, quod dignum nobis aut in curia aut in foro agere possimus?Ita qui in maxima celebritate atque in oculis civium quondam vixerimus, nunc fugientes conspectum sceleratorum, quibus omnia redundant, abdimus nos quantum licet et saepe soli sumus.

Nexus – Pag.136 n.2 – Cicerone

Catone, che gli fu quasi coetaneo, scrisse che Publio Scipione, quello che per primo fu soprannominato l’Africano, era solito dire di non essere mai meno ozioso di quando era ozioso, e mai meno solo di quando era solo. Parole veramente magnifiche e degne di un uomo grande e saggio; esse dimostrano che nei periodi di riposo egli pensava agli affari e quando era solo era solito parlare con se stesso, sicché non gli mancava mai un’occupazione e [talora] non aveva bisogno di colloquiare con un altro. Cosi queste due situazioni, l’ozio e la solitudine, che arrecano agli altri fiacchezza, gli erano di stimolo. Vorrei che fosse lecito dire, con verità, lo stesso di me[…]. Ma né quest’ozio si può paragonare con quello dell’Africano, né questa mia solitudine con quella; egli, per ricrearsi dagli importantissimi affari dello Stato, di quando in quando si prendeva un periodo di riposo e dalle assemblee e dagli affollamenti cittadini si rifugiava talora nella solitudine come in un porto; il mio ozio, invece, è causato non dal desiderio di riposo, ma dalla mancanza di affari. Sparito, ormai, il senato e distrutti i tribunali, che cosa c’è che io possa fare, degno di me, nella curia e nel foro? Pertanto io, che vissi un tempo assai frequentemente in pubblico e sotto gli occhi dei cittadini, ora, fuggendo la vista degli sciagurati, dei quali è pieno ogni luogo, mi nascondo quanto è possibile e spesso sono solo.