Come fu accolta a Roma la Dea Cibele

P. Cornelius cum omnibus matronis Ostiam obuiam ire deae iussus; isque eam de naue acciperet et in terram elatam traderet ferendam matronis. postquam nauis ad ostium amnis Tiberini accessit, sicut erat iussus, in salum naue euectus ab sacerdotibus deam accepit extulitque in terram. matronae primores ciuitatis, inter quas unius Claudiae Quintae insigne est nomen, accepere; cui dubia, ut traditur, antea fama clariorem ad posteros tam religioso ministerio pudicitiam fecit. eae per manus, succedentes deinde aliae aliis, omni obuiam effusa ciuitate, turibulis ante ianuas positis qua praeferebatur atque accenso ture precantibus ut uolens propitiaque urbem Romanam iniret, in aedem Uictoriae quae est in Palatio pertulere deam pridie idus Apriles; isque dies festus fuit. populus frequens dona deae in Palatium tulit, lectisterniumque et ludi fuere, Megalesia appellata.

Publio Cornelio ricevette disposizione di andare incontro alla dea a Ostia con tutte le matrone: egli doveva poi personalmente raccoglierla sulla nave e, una volta trasferitala a terra, consegnarla alle matrone per il trasporto. Dopo che la nave si fu accostata alla foce del fiume Tevere, secondo le disposizioni ricevute, egli si fece trasportare su una imbarcazione in alto mare, ricevendo la dea dai sacerdoti e portandola a terra. Ad accoglierla erano le più nobili matrone della città; tra di esse l’unica ad avere un nome celebre era Claudia Quinta: la reputazione di costei, fino a quel momento ambigua a quanto si racconta, rese più luminosa la sua pudicizia tra i posteri dopo un incarico tanto devotamente assolto. Le matrone, passandosi di mano in mano il simulacro, mentre tutta la cittadinanza si era riversata loro incontro e mentre dai tripodi posti presso le porte davanti alle quali transitava bruciava dell’incenso, portarono la dea nel tempio della Vittoria che si trova sul Palatino: Intanto pregavano che volesse entrare – benevola e apportatrice di grazie – nella città. Era il 12 di aprile e quel giorno fu dichiarato festivo. Una folla molto numerosa recò doni votivi alla dea sul Palatino; vi furono anche un lettisternio e dei giochi, chiamati in seguito Megalensi.