Come si esercitava Cicerone

In cotidianis autem commentationibus equidem mihi adulescentulus proponere solebam illam exercitationem maxime, qua Caium Carbonem nostrum illum adversarium, solitum esse uti sciebam, ut, aut versibus propositis quam maxime gravibus aut oratione aliqua lecta ad eum finem (punto) quem memoria possem comprehendere, eam rem ipsam, quam legissem, verbis aliis pronuntiarem. Sed postea animadverti in tali exercitatione hoc esse vitium: quod ea verba, quae maxime cuiusque rei propria et quae essent ornatissima atque optima, occupasset aut Ennius poeta, si ad eius versus me exercerem, aut Gracchus, si eius orationem mihi forte proposuissem. Ita, si iisdem verbis uterer, hoc nihil prodesse videbam; si aliis, etiam obesse, cum minus idonea essent. Postea mihi placuit ut summorum oratorum Graecas orationes explicarem. Quibus lectis, hoc adsequebar: ut, cum ea, quae legeram Graecas, Latine redderem, non solum optimis verbis uterer et tamen usitatis, sed etiam imitando exprimerem quaedam verba, quae nova nostrae essent, dummodo (purché) essent idonea.

Cicerone

Da giovinetto durante le preparazioni quotidiane ero solito propormi soprattutto a quell’esercizio, di cui sapevo essere solito servirsi quel mio celebre rivale Gaio Carbone, ovvero, dopo essermi posto innanzi dei versi quanto più solenni o dopo aver letto una qualche orazione fino al punto che la memoria potesse abbracciare, declamava con altre parole quella stessa cosa che avevo letto. Ma poi mi accorsi che in un tale esercizio c’era questo errore: il fatto che quelle parole, che sono soprattutto specifiche di ciascun argomento e che erano assai eleganti e appropriate, le aveva adoperate il poeta Ennio, se mi esercitavo con i suoi versi, o Gracco, se per caso mi ero proposto una sua orazione. Così, se mi servivo delle stesse parole, sembrava che ciò non giovasse a nulla; se (mi servivo) di altre (parole), (sembrava) che nuocesse persino, essendo meno adatte. Dopo aver letto queste cose, capivo questo: che, quando rendevo in latino quelle cose Greche che avevo letto, non solo mi servivo di parole migliori e tuttavia comuni, ma, imitando, coniavo parole che erano nuove per i nostri, purché fossero appropriate.