Contro le manie di perfezionismo

Sunt autem quibus nihil sit satis: omnia mutare, omnia aliter dicere quam occurrit velint, increduli quidam et de ingenio suo pessime meriti, qui diligentiam putant facere sibi scribendi difficultatem. Nec promptum est dicere utros peccare validius putem, quibus omnia sua placent an quibus nihil. Accidit enim etiam ingeniosis adulescentibus frequenter ut labore consumantur et in silentium usque descendant nimia bene dicendi cupiditate. Qua de re memini narrasse mihi Iulium Secundum illum, aequalem meum atque a me, ut notum est, familiariter amatum, mirae facundiae virum, infinitae tamen curae, quid esset sibi a patruo suo dictum Iulio Floro, in eloquentia Galliarum, quoniam ibi demum exercuit eam, principe. Qui cum Secundum, scholae adhuc operatum, tristem forte vidisset, interrogavit quae causa frontis tam adductae. Nec dissimulavit adulescens tertium iam diem esse quod omni labore materiae ad scribendum destinatae non inveniret exordium: quo sibi non praesens tantum dolor, sed etiam desperatio in posterum fieret. Tum Florus adridens: «Numquid tu – inquit – melius dicere vis quam potes?».

Quintiliano

Vi sono alcuni per i quali nulla è sufficiente: vorrebbero cambiare tutto, dire tutto diversamente da come viene in mente, increduli e che si comportano malissimo con la loro intelligenza, i quali pensano che sia diligenza crearsi difficoltà nello scrivere. Non sarebbe facile dire chi dei due io pensi che sbagli più gravemente, se quelli a cui piacciono tutte le loro cose o quelli ai quali non piace niente. Infatti anche ai giovani intelligenti accade spesso di essere sfiniti dalla fatica e di arrivare fino al silenzio per il desiderio eccessivo di parlare bene. Per questo motivo ricordo che quel Giulio Secondo, mio coetaneo e, come è noto, amato da me cordialmente, uomo di straordinaria eloquenza, tuttavia di infinita solerzia, mi raccontò ciò che gli era stato detto da suo zio Giulio Floro, il più insigne nell’eloquenza delle Gallie, poiché là precisamente la praticò. Egli, avendo per caso visto triste Secondo, ancora occupato nella scuola, gli domandò il motivo di un’espressione così seria. Il giovane non nascose che era già il terzo giorno che con ogni fatica non trovava l’esordio del tema assegnato da scrivere: questo diventava per cui non soltanto un cruccio presente, ma anche disperazione per il futuro. Allora Floro sorridendo disse: «Vuoi forse parlare meglio di quanto puoi?».