Diritto di guerra

In re publica maxime conservanda sunt iura belli. Nam cum sint duo genera decertandi, unum per disceptationem, alterum per vim, cumque illud proprium sit hominis, hoc beluarum, confugiendum est ad posterius, si uti non licet superiore.
Quare suscipienda quidem bella sunt ob eam causam, ut sine iniuria in pace vivatur, parta autem victoria conservandi i, qui non crudeles in bello, non inmanes fuerunt, ut maiores nostri Tusculanos, Aequos, Volscos, Sabinos, Hernicos in civitatem etiam acceperunt, at Karthaginem et Numantiam funditus sustulerunt; nollem Corinthum, sed credo aliquid secutos, oportunitatem loci maxime, ne posset aliquando ad bellum faciendum locus ipse adhortari. Mea quidem sententia paci, quae nihil habitura sit insidiarum, semper est consulendum.

Nei rapporti fra Stato e Stato si debbono osservare le leggi di guerra. In verità, ci sono due maniere di contendere: con la ragione e con la forza; e poiché la ragione è propria dell’uomo e la forza è propria delle bestie, bisogna ricorrere alla seconda solo quando non ci si può avvalere della prima.
Si devono perciò intraprendere le guerre al solo scopo di vivere in sicura e tranquilla pace; ma, conseguita la vittoria, si devono risparmiare coloro che, durante la guerra, non furono né crudeli né spietati. Così, i nostri padri concessero perfino la cittadinanza ai Tusculani, agli Equi, ai Volsci, ai Sabini, agli Ernici; ma distrussero dalle fondamenta Cartagine e Numanzia; non avrei voluto la distruzione di Corinto; ma forse essi ebbero le loro buone ragioni, soprattutto la felice posizione del luogo, temendo che appunto il luogo fosse, o prima o poi, occasione e stimolo a nuove guerre. A mio parere, bisogna procurar sempre una pace che non nasconda insidie.