Discorso di Annone nel senato cartaginese

Iuvenem flagrantem cupidine regni viamque unam ad id cernentem si ex bellis bella serendo succinctus armis legionibusque uiuat, uelut materiam igni praebentes, ad exercitus misistis. Aluistis ergo hoc incendium quo nunc ardetis. Saguntum uestri circumsedent exercitus unde arcentur foedere; mox Carthaginem circumsedebunt Romanae legiones ducibus iisdem dis per quos priore bello rupta foedera sunt ulti. Utrum hostem an uos an fortunam utriusque populi ignoratis? Legatos ab sociis et pro sociis uenientes bonus imperator uester in castra non admisit; ius gentium sustulit; hi tamen, unde ne hostium quidem legati arcentur, pulsi, ad uos uenerunt. Res ex foedere repetuntur; publica fraus absit: auctorem culpae et reum criminis deposcunt. Quo lenius agunt, segnius incipiunt, eo cum coeperint uereor ne perseuerantius saeuiant. Aegates insulas Erycemque ante oculos proponite, quae terra marique per quattuor et uiginti annos passi sitis. Nec puer hic dux erat sed pater ipse Hamilcar, Mars alter, ut isti uolunt. Sed Tarento, id est Italia, non abstinueramus ex foedere, sicut nunc Sagunto non abstinemus; uicerunt ergo di hominesque et, id de quo uerbis ambigebatur uter populus foedus rupisset, euentus belli uelut aequus iudex, unde ius stabat, ei uictoriam dedit. Carthagini nunc Hannibal uineas turresque admouet: Carthaginis moenia quatit ariete. Sagunti ruinae -falsus utinam uates sim- nostris capitibus incident.

Voi avete mandato presso l’esercito, offrendo esca all’incendio, un giovane ardente di brama di regno e che questa sola via vede buona a conseguirlo: vivere tutto cinto d’armi e di legioni, da guerre suscitando nuove guerre. Voi dunque avete alimentato l’incendio che ora vi brucia. I vostri eserciti assediano quella Sagunto da cui secondo il patto debbono star lontani; or ora le legioni romane assedieranno Cartagine, condotte da quegli stessi dei con l’aiuto dei quali esse vendicarono nella passata guerra i patti violati.’ Non conoscete voi il nemico, né voi stessi né la vicenda di entrambi i popoli? Quel vostro ottimo generale non ha ricevuto nel campo gli ambasciatori che venivano da alleati in difesa di alleati, ha violato il diritto delle genti; quelli però, cacciati da un luogo da cui non si respingono neppure i messi dei nemici, sono venuti qui; secondo i patti si richiedono riparazioni. Che non commetta lo Stato una tale violazione! Chiedono la consegna dell’ispiratore della colpa, del reo del delitto. Quanto più blandamente e lentamente essi cominciano ad agire, tanto più tenacemente, io temo, dopo aver cominciato infieriranno. Abbiate innanzi agli occhi le Egadi e l’Erice, e tutto ciò che doveste soffrire per terra e per mare in ventiquattro anni. E non era allora comandante generale questo ragazzo, ma lo stesso suo padre Amilcare: un secondo Marte, come pretendono costoro! Ma da Taranto, cioè dall’Italia, non ci eravamo astenuti, come avrebbe voluto il patto, proprio come adesso non ci asteniamo da Sagunto. Perciò gli dei vinsero gli uomini; e quanto a quello di cui allora si disputava, quale cioè dei due popoli avesse rotto il patto, l’esito della guerra, come giusto giudice, diede la vittoria a quello dalla cui parte stava il diritto. Contro Cartagine muove ora Annibale vinee e torri, le mura di Cartagine scrolla egli a colpi d’ariete; le rovine di Sagunto (oh sia io falso profeta!) cadranno sulle nostre teste.