Elogio di Scipione Emiliano

P. Scipio Africanus Aemilianus, qui Carthaginem deleverat, post tot acceptas circa Mumantiam clades creatus iterum consul missusque in Hispaniam, intra annum ac tres menses, quam eo venerat, circumdatam operibus Numantiam excisamque aequavit solo. Nec quisquam hominum ullius gentis ante eum clariore urbium excidio nomen suum perpetuae memoriae commendavit. Nam, excisa Carthagine ac Numantia, ab alterius metu, ab alterius contumeliis nos vindicavit. Hic, eum interrogante tribuno Carbone quid de Ti. Gracchi caede sentiret, respondit, si is vere rem publicam occupare voluisset, iure caesum esse. Et cum omnis contio acclamavisset: “Totiens – inquit – hostium armatorum clamore non territus, quo modo possum vestro clamore moveri, quorum noverca est Italia?”

Velleio Patercolo

P. Scipione Africano Emiliano, quello che aveva distrutto Cartagine, dopo tanti rovesci erano stati subiti per la guerra di Numanzia, fu creato console per la seconda volta e inviato in Spagna, un un anno e tre mesi, da che era arrivato là, circondata Numanzia con le macchine ed espugnatala, la rase al suolo. Non ve n’è uno solo, in quella famiglia, prima di lui, che gloriò il proprio nome a perpetua memoria con una più splendida distruzione di città: infatti, rase al suolo Cartagine e Numanzia, ci liberò dal timore dell’una e dalle offese dell’altra. Costui, quando il tribuno Carbone lo interrogava su cosa pensasse dell’uccisione di Tiberio Gracco, rispose che se veramente voleva dominare lo stato, era morto giustamente. Poi, un giorno che tutta l’assemblea lo fischiava: “Tante volte” – disse – “non mi sono spaventato alle urla di nemici in armi, come potrei ora essere sconvolto dal vostro grido, voi cha avete l’Italia per matrigna?”.