Historia Romana, Liber Prior, 17

Neque hoc in Graecis quam in Romanis evenit magis. Nam nisi aspera ac rudia repetas et inventi laudanda nomine, in Accio circaque eum Romana tragoedia est; dulcesque Latini leporis facetiae per Caecilium Terentiumque et Afranium subpari aetate nituerunt. Historicos etiam, ut Livium quoque priorum aetati adstruas, praeter Catonem et quosdam veteres et obscuros minus octoginta annis circumdatum aevum tulit, ut nec poetarum in antiquius citeriusve processit ubertas. At oratio ac vis forensis perfectumque prosae eloquentiae decus, ut idem separetur Cato [pace P. Crassi Scipionisque et Laelii et Gracchorum et Fannii et Servii Galbae dixerim] ita universa sub principe operis sui erupit Tullio, ut delectari ante eum paucissimis, mirari vero neminem possis nisi aut ab illo visum aut qui illum viderit. Hoc idem evenisse grammaticis, plastis, pictoribus, scalptoribus quisquis temporum institerit notis, reperiet, eminentiam cuiusque operis artissimis temporum claustris circumdatam. Huius ergo recedentis in quodque saeculum ingeniorum similitudinis congregantisque se et in studium par et in emolumentum causas cum saepe requiro, numquam reperio, quas esse veras confidam, sed fortasse veri similes, inter quas has maxime. Alitur aemulatione ingenium, et nunc invidia, nunc admiratio imitationem accendit, naturaque quod summo studio petitum est, ascendit in summum difficilisque in perfecto mora est, naturaliterque quod procedere non potest, recedit. Et ut primo ad consequendos quos priores ducimus accendimur, ita ubi aut praeteriri aut aequari eos posse desperavimus, studium cum spe senescit, et quod adsequi non potest, sequi desinit et velut occupatam relinquens materiam quaerit novam, praeteritoque eo, in quo eminere non possumus, aliquid, in quo nitamur, conquirimus, sequiturque ut frequens ac mobilis transitus maximum perfecti operis impedimentum sit.

Velleio Patercolo

Questo si verificò in Grecia no più che a Roima. Infatti se no si vuol risalire a quelle manifestazioni rozze e grossolane e meritevoli di lode solo perché si tratta di novità, la tragedia romana è tutta in Accio e nei suoi seguaci; le garbate facezie dell’arguzia latina brillarono quasi nello stesso tempo per merito di Cecilio, Terenzio e Afranio. Quanto agli storici, inserendo anche Livio nell’epoca degli autori che lo hanno preceduto, li produsse tutti, se si eccettuano Catone e alcuni altri scrittori antichi e oscuri, uno spazio di tempo compreso in meno di ottanta anni, così come non risale più addietro né scende più in basso la ricca fioritura dei poeti. D’altra parte l’eloquenza, l’arte forense e la perfezione e lo splendore della prosa oratoria, eccettuato ancora Catone (sia detto con buona pace di P. Crasso, di Scipione, di Lelio, dei Gracchi, di Fannio e di Servio Galba), vennero a fioritura tutte quante al tempo di Tullio, loro più alto rappresentante, sicché potresti dilettarti di ben pochi oratori che lo abbiano preceduto, mentre nessuno potresti ammirare che o non sia stato da Cicerone visto o che non abbia egli stesso visto Cicerone. Chiunque osservi attentamente i segni distintivi delle varie epoche troverà che la medesima cosa è accaduta per i grammatici, i ceramisti, i pittori, gli scultori e cioè l’eccellenza nei singoli generi è racchiusa in ristretti limiti di tempo. Per quanto io continuamente ricerchi le cause per le quali ingegni simili si raggruppano in epoche singole e si trovano uniti nella medesima attività e nella medesima brillante riuscita, nessuna mai ne trovo di verosimili, tra le quali principalmente queste. L’emulazione nutre gli ingegni e ora l’invidia, ora l’ammirazione spronano all’imitazione, e quello che si è cercato col più grande amore sale per natura al punto più alto; è però difficile restare nella perfezione e per natura regredisce ciò che non può progredire. E come all’inizio ci accingiamo con ardore a raggiungere coloro che giudichiamo primi, così quando disperiamo che questi possano essere o superati o uguagliati, lo slancio e insieme la speranza vengono meno e smettono di perseguire ciò che non possono raggiungere; abbandonando per così dire una materia proprietà di altri, andiamo in cerca di una nuova; abbandonato il campo in cui non possiamo eccellere, ne cerchiamo un altro sul quale concentrare i nostri sforzi: ne consegue che questo frequente e rapido cambiamento è il più grande ostacolo alla perfezione.