I Liguri cercano di prendere tempo

Dum haec in Macedonia geruntur, L Aemilius Paulus, prorogato ex consulatu imperio, principio veris in Ligures Ingaunos induxit exercitum. Ubi primum in hostium finibus castra posuit, legati ad eum per speciem pacis petendae speculatum venerunt. Neganti Paulo nisi cum deditis pacisci se pacem, non tam id recusabant, quam tempore aiebant opus esse ut suis persuaderent. Ad hoc decem dierum indutiae cum darentur, petierunt deinde, ne trans montes proximos castris pabulatum lignatumque milites irent: culta ea loca suorum finium esse. Id ubi impetravere, post eos ipsos montes, unde averterant hostem, exercitu omni coacto, repente moltitudine ingenti castra Romanorum oppugnare simul omnibus portis adgressi sunt. Summa vi totum diem oppugnarunt, ita ut ne efferendi quidem signa Romanis spatium nec ad explicandam aciem locus esset. Conferti in portis obstando magis quam pugnando castra tutabantur. Sub occasum solis, cum recessissent hostes, duosequites ad Cn. Baebium proconsulem cum litteris Pisas mittit, ut obsesso sibi quam subsidio veniret.

Mentre in Macedonia accadono queste cose, Lucio Emilio Paolo, avendo prolungato il comando dal consolato, all’inizio della primavera guidò l’esercito contro i Liguri Ingauni. Appena allestì l’accampamento nei confini dei nemici, vennero a lui ambasciatori per spiare col pretesto di chiedere la pace. A Paolo che non voleva stipulare la pace se non con degli arresi, non tanto rifiutavano ciò, quanto dicevano che c’era bisogno di tempo per convincere i loro. Essendo stata concessa per ciò una tregua di dieci giorni, chiesero inoltre che i soldati non andassero a procurarsi cibo e legna oltre i monti vicini all’accampamento: (dicevano che) questi territori dei loro confini erano coltivati. Come ottennero ciò, radunato tutto l’esercito dietro quegli stessi monti da cui avevano allontanato il nemico, andarono ad attaccare con ingenti truppe all’improvviso e contemporaneamente da tutte le porte l’accampamento dei Romani. Combatterono tutto il giorno con grandissimo ardore, in modo che non vi fosse neppure lo spazio per i Romani di portar fuori le insegne né posto per schierare l’esercito. Costretti entro le porte, difendevano l’accampamento più contrastando che combattendo. Verso il tramonto, essendosi i nemici ritirati, mandò a Pisa due cavalieri con un messaggio dal proconsole Gneo Bebio, affinché venisse in soccorso a lui assediato.