Il poeta Tirteo

Messenii et Lacedaemonii asperum bellum ducebant. Lacedaemonii iam victoriam suam existimabant certam, sed copiae suae valde defatigatae erant, quare Messeniorum oppidum expugnare et eorum militias in summa (= defi nitivamente) profligare non valebant. Itaque Delphos legatos mittunt et a Phoebo deo auxilium per Pythiam antistitam petunt. Oraculum suum responsum praebet: vir Atheniensis (= ateniese) ducere Lacedaemoniorum copias debebat. Tum ab Athenarum incolis ducem (= un comandante, ogg.) petunt et statim ii (= quelli, sogg.) Spartam Tyrtaeum poetam mittunt. Is (= costui) claudus erat et Lacedaemonii poetam irrident et infelix corpus eius (= il suo fisico infelice). Tamen poeta consiliis suis et carminibus (= con i canti) suis copias incitat et militum (= dei soldati) animum incendit: ilico hi (= questi, sogg.) nullum periculum recusant et ad mortem (= alla morte) parati sunt. Itaque cum (= quando) pugna oritur (= scoppia), Lacedaemoniorum copiae expedite Messenios profligant et oppidum eorum occupant.

I Messeni e gli Spartani combattevano una dura guerra. Gli Spartani già ritenevano certa la loro vittoria, ma le loro armate erano molto stanche, per questo non erano in grado di espugnare la città dei Messeni e sbaragliare definitivamente le loro truppe. Pertanto mandano ambasciatori a Delfi e, tramite la sacerdotessa Pizia, chiedono aiuto al dio Apollo. L’oracolo emette il proprio responso: un uomo Ateniese doveva guidare le armate degli Spartani. Allora chiedono agli abitanti di Atene un comandante e subito quelli mandano a Sparta il poeta Tirteo. Costui era zoppo e gli Spartani deridono il poeta e il suo fisico infelice. Tuttavia il poeta invita le armate con i suoi consigli e i suoi canti e infiamma l’animo dei soldati: subito questi non rifiutano nessun pericolo e sono pronti alla morte. Pertanto quando scoppia la battaglia, le armate degli Spartani sbaragliano senza difficoltà i Messeni e occupano la loro città.