Il presagio di un centurione

Praesagia atque indicia a Romanis instrumenta esse credebantur quibus suas voluntates dii aperirent. Cum enim Galli, qui Romam invaserant, ferro ignique urbem vastavissent, plerisque civibus alio migrare atque novam sedem quaerer-e visum est. Nam ruinae ubicumque adspiciebantur atque ipse locus infaustus esse videbatur. Sed quidam centurio, qui per Gallorum incursum stationi praefuerat, consilium tale recusavit quod turpe et incommodum visum est. Nam, quibusdam militibus arcessitis, minaci voce iussá edixit- “Hic vexilla depone, signifer: hic enim optime manebimus”. Quae vero verba, mira voce dictá, in bonam partem accepta sunt: nam ab omnibus quasi divina omina habita sunt. Paucis post annis eodern loco urbs aedificata est, non minus splendida ac prospera quam praeterito tempore.

I presagi e le premonizioni erano creduti, dai Romani, essere mezzi attraverso i quali gli dèi manifestavano le loro volontà. Ad esempio, dopo che i Galli – che avevano invaso Roma – ebbero annientato la città col ferro e col fuoco, alla maggior parte dei cittadini parve opportuno migrare altrove e cercare una nuova sede. Infatti, le rovine campeggiavano per ogni dove, e il luogo in sé sembrava promanare una cattiva influenza [lett. essere infausto]. Ma un centurione, che aveva mantenuto la sua postazione di difesa durante l’incursione dei Galli, disdegnò una tale risoluzione perché gli apparve vergognosa e svantaggiosa. E così, chiamati a raccolta alcuni soldati, comandò con voce minacciosa: “Deponi qui le insegne, signifero; staremo ottimamente, qui”. Invero, tali parole – pronunciate con voce straordinaria – sortirono buon effetto: esse, infatti, furono ritenuti da tutti quasi uomini divini. Dopo pochi anni, in quello stesso punto venne edificata una città, non meno splendida e prospera (di quella che esisteva) in precedenza.