Il Romanticismo

Origine del termine “Romantico” – Il “Classico” – Genesi e sviluppi delle teorie romantiche

Nel Medioevo e nei Paesi neolatini, romanzo indicò una narrazione (di carattere avventuroso e cavalleresco) a scopo di diletto; e si chiamò romanzo appunto perché tali narrazioni erano in lingua romanza, mentre le opere storiche, scientifiche e filosofiche venivano composte prevalentemente in Latino. Nel Seicento e nel Settecento, il termine romantic cioè «simile a vecchi romanzi» fu usato (spesso ironicamente) in Inghilterra per indicare argomenti assurdi, fantastici, fuori del comune; da qui, la distinzione tra romance e novel, che era invece il romanzo sentimentale e di costume, antenato del romanzo ottocentesco e di quello moderno. Rousseau, poi, comincia a usare il termine in senso positivo, per indicare certi aspetti particolarmente suggestivi e pittoreschi del paesaggio; oppure certi stati d’animo indefiniti e vagamente malinconici. In Germania, finalmente, il termine assume un preciso significato: nella rivista Athenaeum, infatti, esso è definito come quello più idoneo ad esprimere le esigenze morali ed estetiche della coscienza moderna. Romantico, quindi, viene a significare il complesso di tutti i nuovi modi del sentire da quelli strettamente romanzi a quelli indipendenti e autonomi nello sviluppo dell’interiorità; viene a significare affermazione di sé, nelle varie manifestazioni della civiltà moderna (religiose, popolari, patriottiche, ecc.). Contemporaneamente, significa libertà di seguire ogni nuovo impulso che da quelle manifestazioni possa sorgere, in qualsiasi direzione. In definitiva, romantico viene a significare il riconoscimento di tutte le nuove possibilità liriche dell’anima e dell’arte come nuovo sentimento e come nuova immaginazione (o fantasia). In Germania, Johann Herder, liberando il termine da ogni senso negativo, Io riferisce alla poesia medievale come portatrice di un valore estetico autonomo e rispondente allo spirito dei popoli e dei tempi che l’hanno prodotto.

Novalis, dal canto suo, assimila romantico e poetico, affermando: «se conferisco al comune un altro significato, al quotidiano un aspetto misterioso, al noto il pregio dell’ignoto, al finito la parvenza dell’infinito, li romanticizzo». Sulla linea di Novalis, i fratelli Guglielmo e Federico Schlegel si ripropongono di far risaltare il contrasto esistente tra il genere antico o classico e quello delle arti moderne, dando a quest’ultimo il nome di “genere romantico”. Sùbito, anche in Germania si abusò del termine e Federico Schlegel, nel 1815, poté parlare di «antiche poesie persiane romantiche»! Per quanto riguarda invece il termine “classico”, i letterati italiani – nell’epoca considerata – definiscono con esso gli scrittori fino alla metà del Seicento. Secondo Goethe, d’altra parte, classico è colui che ha la sensazione di vivere sotto lo stesso sole che illuminò e riscaldò Omero; quindi, colui che concepisce la vita come continuità. Per Goethe, allora, romantico è colui agli occhi del quale la continuità della vita è sparita; colui che avverte un passato profondamente diverso dall’oggi e un futuro come assoluto mistero; e che non crede esistano valori eterni, perenni leggi; in altri termini: colui che concepisce la vita come divenire. Per il romantico, così, non solo il mondo ricomincia da ogni individuo, ma anche l’individuo non è mai uguale a se stesso: la vita ricomincia ad ogni istante. Inserendosi nel dibattito classico-romantico, Madame de Staël (1766-1817), amica dei fratelli Schlegel e impegnata nella diffusione dell’arte tedesca in Francia, scrisse nel 1808 e pubblicò a Londra nel 1813 De l’Allemagne, in cui si può leggere «Il nome “romantico” e stato introdotto di fresco in Germania per designare la poesia cui han dato origine i canti dei trovatori, quella che è nata dalla Cavalleria e dal Cristianesimo [.]. Si prende talvolta la parola “classico” come sinonimo di perfezione. Qui io me ne valgo in un altro .senso, considerando la poesia classica come quella degli antichi e la poesia romantica come quella che in qua/che modo attiene alle tradizioni cavalleresche. Questa divisione si riferisce, del pari, alle due ere del mondo: l’era che ha preceduto il formarsi del Cristianesimo e I’era che lo ha seguito». Così ragionando, M.me de Staël non faceva che svolgere le idee degli Schlegel. Inoltre, l’autrice aggiungeva: «Nell’Europa letteraria non vi sono più che due divisioni ben nette: la letteratura imitata dagli antichi e quella che deve l’origine allo spirito del Medio Evo; la letteratura che ,fin dai primordi ha avuto dal paganesimo il colore e il fascino e la letteratura il cui impulso e svolgimento appartengono a una religione essenzialmente spiritualistica». La Germania, per M.me de Staël, offriva un esempio mirabile di quest’ultimo aspetto: un esempio da emulare.

Illuminismo e Romanticismo

In sostanza, i classici ai quali i romantici volevano opporsi erano gli illuministi. Sarebbe tuttavia un errore contrapporre puramente e semplicemnete Romanticismo e illuminismo, poiché quest’ultimo risulta tutto pervaso di presentimenti romantici; e anche perché nessun nuovo movimento nasce mai all’improvviso, dal nulla. Il classico del Settecento, attingendo a quel patrimonio unico dell’umanità che è la ragione (Omero ragionava, o avrebbe dovuto ragionare come Condillac!), disciplina la propria materia in forme semplici e ordinate, facilmente assimilabili da tutti i popoli; così operando, però, da un lato si disinteressa delle realtà soprannaturali (giacché la ragione ha dissolto ogni mistero, ha fugato tutte le tenebre); dall’altro, bandisce o sottopone alla ragione dominatrice il sentimento e la fantasia (la pazza di casa, la chiamava Malebranche), in quanto troppo liberi e imprevedibili, sfuggenti ad ogni calcolo e oscuri nella loro natura. Invece l’uomo nuovo, il romantico, ripudia l’onnipotente e perenne validità della ragione, proprio nel nome del sentimento e della fantasia, come si può capire da queste parole, tratte dal Dialogo sulla poesia (1800) di F. Schlegel: «Secondo il mio modo di vedere e la mia terminologia, romantico è ciò che ci rappresenta una materia sentimentale in forma fantastica». Qui per “sentimentale” non si deve intendere qualcosa di sdolcinato e lacrimevole, bensì «ciò che parla al nostro animo» su impulso dell’amore; e, appunto, soltanto la fantasia «può cogliere l’enigma di questo amore e rappresentarlo come tale». Già per Rousseau, del resto, l’amore acquistava un valore religioso, in quanto esperienza sovrumana di carattere assoluto, fuori di ogni legame sociale, nella quale si pongono misticismo e voluttà, sensualità e spiritualità: tutti aspetti che fanno di Rousseau un preromantico. In definitiva, l’impossibilità di illuminare e chiarire ogni cosa attraverso il lume razionale sposta la problematica artistica verso le zone d’ombra della realtà e verso gli aspetti oscuri della personalità umana; di conseguenza, diventano indispensabili quegli strumenti irrazionali della percezione che consentano di penetrare nei domini del mistero e della realtà nascosta e inconscia. Ne consegue, per l’anima romantica, l’esperienza fondamentale del sogno, in quanto dotata di alogicità. Al riguardo, Mario Praz scrive: «Romantico viene ad associarsi con un altro gruppo di concetti, come “magico”, “suggestivo”, “nostalgico” e, soprattutto, con parole esprimenti stati d ‘animo ineffabili, quali la tedesca “sehnsucht” e l’inglese “wistful”», di cui non esiste un esatto equivalente nelle lingue latine, quasi a indicare «l”origine nordica, anglogermanica, dei sentimenti che esse esprimono». 3. LO “STURM UND DRANG” Direttamente a Rousseau si ispira la prima decisa, anzi violenta reazione alla mentalità illuministica: il movimento dello Sturm und Drang (“tempesta e impeto”; oppure, “impeto tempestoso”: dal titolo di un dramma di Klinger). Tale movimento esalta il sentimento con la forza selvaggia, contro tutte le consuetudini e tutti i limiti, in nome dell’individualità originale e irriducibile: il genio contro le leggi e le convenzioni. Lo Sturm und Drang sorse in Germania intorno al 1770 e vi parteciparono, nella loro giovinezza, Goethe e Schiller. Come per Rousseau, anche per gli sturmer la divinità si identifica con la Natura; ma questa Natura è una forza tumultuosa, orgiastica, che crea incessantemente, senza obbedire a nessun piano determinato (si veda la passione del Werther goethiano, troppo forte per essere contenuta nei limiti umani). Sul piano strettamente letterario, i rappresentanti dello Sturm und Drang sono discepoli soprattutto di Herder, dal quale riprendono la distinzione tra kunstpoesie (poesia d’arte) e naturpoesie (poesia di natura): la prima prodotto raffinato, ma freddo, della riflessione e della cultura; la seconda, all’opposto, voce spontanea e calda dell’anima: la sola, quindi, che possa definirsi davvero poesia. Un’antitesi, la precedente, che avrà enorme fortuna in tutto il Romanticismo, specialmente latino. Tuttavia, la ribellione dello Sturm und Drang è troppo radicale e indefinita; e, al contempo, ancora legata alla mentalità illuministica, nel suo ottimismo rivoluzionario e nella sua negazione del passato. Si sente, quindi, il bisogno di disciplinare quell’impeto, perché esso diventi produttivo e non distruttivo; compito al quale si dedicano Goethe e Schiller, oltre a Wilhelm von Humboldt, con la creazione di un atteggiamento spirituale e artistico che va sotto il nome di Neoclassicismo tedesco. L’arte classica viene qui assunta non tanto come modello da imitare, quanto come una misura ideale di armonia e di equilibrio, che dev’esser tenuta presente per dare forma pienamente artistica ai sentimenti moderni. E ai margini di questo movimento sorgerà, pur senza rinnegarne l’esperienza, ma piuttosto convogliandola verso una nuova sintesi, il Romanticismo tedesco. Schiller (1759-1805), nella sua opera Sulla poesia ingenua e sentimentale (1794-1795), distingue tra poesia ingenua degli antichi, pregna di valore realistico; e poesia sentimentale dei moderni, originatasi dal Medioevo e ispirata alla vicenda interiore del poeta. Secondo Schiller, gli artisti moderni sono accomunati da una condizione di sehnsucht (termine, come si è visto, praticamente intraducibile, impropriamente tradotto con ‘nostalgia’, ‘disagio’, ‘crisi’) superabile soltanto con quell’armonia e quella compostezza che furono dei classici, attraverso un equilibrio tra sensibilità e ragione.

Sulla linea di Schiller, i già citati fratelli Schlegel, Federico e Guglielmo, in diversi articoli sulla rivista Athenaeum prima, quindi in veri e propri saggi monografici, colgono nella poesia ingenua degli antichi il riflesso di una civiltà che si attua nel rapporto pieno e sereno con il mondo; e nella poesia sentimentale dei moderni l’espressione di un disagio interiore, di un travaglio prodotto dal sentimento cristiano dell’esistenza, angosciata dal senso del peccato e racchiusa nell’aspettativa della redenzione. A differenza di Schiller, però, i fratelli Schlegel non scorgono la soluzione di questa sehnsucht nella proiezione verso un mondo lontano e irrecuperabile (quello dell’armonia); piuttosto, il poeta romantico non ha altra scelta che quella di seguire la propria aspirazione, di essere se stesso, liberamente.

La battaglia classico-romantica in Francia, la scoperta del sublime e l’evoluzione del gusto in Inghilterra

In Francia, rispetto alla Germania, sussistevano motivi di ordine diverso; qui, infatti, la convivenza della tradizione classica, la sopravvivenza delle retroguardie della cultura illuministica, la fluidità della situazione politica al tempo della rivoluzione ed oltre, ritardarono l’affermazione delle idee romantiche. Elemento di spicco rispetto a queste ultime è Anne Louise Necker, meglio conosciuta con il nome da sposata: Madame de Staël. Il suo saggio Della letteratura considerata nei suoi rapporti con le istituzioni sociali (1800) può considerarsi il fatto che prelude al Romanticismo francese. In definitiva, l’opera afferma una stretta corrispondenza tra l’intellettuale e la società, nel cui dibattito culturale egli deve inserirsi; d’altra parte, però, la necessità dell’indipendenza dell’intellettuale dal potere politico e da ogni limitazione che freni la sua libertà creativa. Ne deriva un giudizio sostanzialmente negativo sul classicismo e sull’area del suo sviluppo storico, estesa prevalentemente alle culture dell’Europa meridionale. La grande ammirazione che Madame de Staël rivolge invece alle culture libere come quelle inglese e tedesca (e, in generale, quelle nate nella fascia nordeuropea) costituisce la ragione di fondo per la composizione della sua opera maggiore: la già citata De l’Allemagne, nella quale l’autrice: ribadisce la modernità del Romanticismo; individua nel sorgere di una nuova coscienza individuale e nazionale, e in una più vasta adesione al sentimento religioso, i fondamenti del Romanticismo stesso; ribadisce l’ampia autonomia riservata all’attività letteraria e artistica, contro ogni intento pedagogico e moralistico. Comunque, il primo vero “manifesto” del Romanticismo francese viene da alcuni individuato in tre articoli dei Melanges (1820) di Charles Nodier (1780-1844). Studiando a fondo i grandi della letteratura tedesca, costui coglie il carattere di attualità del messaggio romantico e sembra soprattutto colpito dall’efficacia di quella tendenza al fiabesco, al surreale, che popola le opere di fantasmi, di mostri, di fate e di cadaveri: materia alla quale egli attinge a piene mani nei suoi lavori. In Inghilterra, le prime manifestazioni del gusto romantico si identificano con l’interesse per l’arte gotica, per il primitivo e il lontano nel tempo; e, inoltre, con lo sviluppo del concetto di sublime. È il Burke, nella Ricerca sull’origine del sublime e del bello (1756), a porre le basi per una nuova interpretazione del sublime che, contro le consimili sorte sotto il razionalismo, fa coincidere tale categoria con l’irrazionalità e ne intravede un’espressione nel sentimento del terrore. Questa intuizione, poi sviluppata e integrata da altri, consente la diffusione di un genere nuovo – il romanzo gotico o nero (si legga The monk, di Matthew Lewis) – e contribuisce in modo determinante alla diffusione della letteratura ossianesca (MacPherson), aprendo inoltre la via a quelle spinte radicalmente irrazionalistiche, caratteristiche del Romanticismo nordico, pronte a far rientrare nel fatto estetico il senso dell’orrido, del mostruoso e del deforme: manifestazioni estreme della polemica anticlassica. Viene rovesciato, insomma, il rapporto tradizionale fra l’artista e il mondo: infatti, mentre il poeta neoclassico si uniformava a un ideale di bellezza immutabile e delimitato da regole e precetti, invece il poeta romantico, ben consapevole che il sublime è un sentimento o stato emotivo prodotto da indagini e idee soggettivamente variabili (a seconda del grado individuale di sensibilità, direbbe Burke), indirizza la sua ricerca in senso intuizionale o fantastico; e la riporta alla propria esperienza della vita, costruendo su di essa la propria genuina e libera visione della realtà (il mondo nuovo di cui parla, per esempio, Coleridge). Da qui consegue la scoperta dell’autenticità della vita interiore del fanciullo, della sua disposizione a meglio percepire il senso delle cose; e da qui deriva anche l’attenzione data all’immaginazione e alla fantasia, nelle loro sfere distinte, colte e teorizzate da Wordsworth e da Coleridge5. Infine, sempre da qui emerge quel forte sentimento della vibrazione interiore (thrilling) a lungo studiato da Shelley.

Il primo Ottocento in Italia – La biblioteca italiana – I manifesti romantici del 1816 – Il Conciliatore

In Italia, la cultura innovatrice proveniva da quei Paesi che avevano vissuto, con un largo anticipo, le vicende della storia moderna. Tale cultura si era espressa, nel secondo Settecento, soprattutto attraverso la valorizzazione della stampa periodica. Questa trovava il proprio ascendente nello Spectator di Addison e Steele, fondato in Inghilterra addirittura nel 1711. Alla base di una siffatta cultura sta l’idea che le lettere siano l’espressione della società; e, pertanto, esse vengono considerate come impegno civile dichiarato e operante. Non a caso, quindi, il dibattito romantico nacque e si sviluppò attraverso opere a carattere sostanzialmente giornalistico quali Hören (Goethe e Schiller) e, soprattutto, Athenaeum (fratelli Schlegel) che – tra il 1798 e il 1800 – fu l’espressione del cosiddetto “gruppo di Jena”, dalla città tedesca dove, nell’inverno 1799-1800, si svolse un convegno sulla nuova poesia; il cui risultato fu la pubblicazione del Discorso sulla poesia. Durante il Regno Lombardo-Veneto, sotto l’amministrazione austriaca, si sviluppò l’avventura della Biblioteca Italiana, periodico mensile nato il primo gennaio del 1816 e regolarmente apparso fino a tutto il 1840; e, sotto il nome di Giornale dell’Istituto Regio Lombardo di Lettere ed Arti, fino al 1859. Il giornale presentava, in alcune sue parti, anche articoli scientifici e, tranne i 150 versi delle Grazie foscoliane, non pubblicò mai opere di poesia. Inizialmente, il governatore Bellegarde cercò di affidarne la direzione a Foscolo e; poi, a Monti; ripiegando, infine, sul meno prestigioso Giuseppe Acerbi (esploratore e narratore) che lo diresse tra il 1817 e il 1825. Nonostante le dichiarazioni di imparzialità e di indipendenza, la Biblioteca Italiana era di fatto assoggettata al governo di Vienna e sottolineò sempre il suo scetticismo rispetto a proposte di contenuti veramente nuovi o critici. La sua impostazione, quindi, era classicista: basti leggere, al riguardo, le prese di posizione del Giordani contro la poesia dialettale. Ma il classicismo del Giordani era di natura “progressista” e tendeva a creare un’unità linguistica nazionale, mentre la linea di fondo della Biblioteca postulava il classicismo come immobilismo culturale. In Lombardia, nel periodo considerato, gli aderenti alle nuove idee romantiche (i cosiddetti “novatori”) facevano sostanzialmente capo a due gruppi:

1. gruppo che agiva nella direzione di una cultura più libera e aperta, comprendente Ludovico di Breme, Pietro Borsieri e Silvio Pellico;
2. gruppo di romantici di ispirazione cattolica, i cui elementi di maggiore spicco erano Berchet, Manzoni, Torti e Visconti. La battaglia tra “passatisti” e “novatori” era talmente esplicita che ai “novatorì” spettò praticamente di diritto la definizione di romantici.

Essi però l’assunsero soprattutto come punto di riferimento per la difesa – con parole di Pellico – «di tutte le idee che portano l’impronta della civilizzazione moderna [.]: per la lotta contro ogni forma di idolatria degli antichi». Va comunque precisato che, nei diversi approfondimenti di questa antitesi tra le due civiltà, come scrive Puppo (1985), «l’influsso dello Schlegel è evidente in tutti i primi romantici, compreso il Manzoni». D’altra parte, come precisa sempre Puppo, «le esigenze della particolare situazione italiana spiegano l’affermarsi di una concezione strumentale della letteratura», nel senso che questa è considerata «in funzione della rinascita etica, culturale e politica della nazione, del suo “incivilimento”»: su una linea fondata sul “vero”, non sull’immaginazione e sulla mitologia (miti autoctoni), come invece è tipico del Romanticismo tedesco. Il 1816 costituisce un anno fondamentale per lo sviluppo del dibattito intorno alle idee romantiche e sulla loro diffusione in Italia. Sul primo fascicolo della Biblioteca Italiana (gennaio) trova infatti spazio un articolo di Madame de Staël (!), Sulla maniera e l’utilità delle traduzioni, in cui viene espressa una valutazione negativa della contemporanea letteratura italiana, legata ad un vecchio formulario classicista, lontano dai più concreti sviluppi del moderno pensiero europeo. Alle repliche indignate dei classicisti rispondono, nello stesso anno, alcuni “novatori”: con interventi che sono ormai unanimemente considerati i “manifesti” del Romanticismo italiano. Ludovico di Breme, nel suo pamphlet Intorno all’ingiustizia di alcuni giudizi letterari, elimina le false interpretazioni del pensiero di Madame de Staël e scopre inoltre il ruolo filo-austriaco e retrivo del classicismo ufficiale: «Siamo pregati – egli scrive – di restringere in numero le nostre cantilene, e di estendere invece la poetica nostra, di ringiovanire un po’ l’estro italiano». In definitiva, l’opuscolo individua il nodo centrale della polemica classico-romantica nel nostro Paese: il problema sollevato da Madame de Staël non verte sul valore del carattere italiano («Vien posta in questione non già l’indole nostra»), ma sull’arretratezza di fatto della cultura italiana; ad un’arte rivolta alla contemplazione del bello ne subentra un’altra intesa come espressione e ricerca personali; alla concezione della poesia come imitazione si oppone il “criterio” dell’immediatezza soggettiva e sentimentale. Borsieri, dal canto suo, nelle Avventure letterarie di un giorno (pubblicate anonimamente) attacca i letterati deteriori e la Biblioteca Italiana. Esalta invece un impegno culturale e civile nutrito di europeismo e di libertà e vissuto da una giovane generazione tesa a riconoscere i suoi padri nei progressisti del passato; i suoi contemporanei nei compagni di lotta di qualsiasi nazione; infine, i suoi figli elettivi nelle generazioni “rinnovate” che si tende a formare. Ciò non gli impedisce, comunque, di esaltare il patriottismo. Berchet, nella sua Lettera semiseria di Crisostomo, delinea un Romanticismo di ispirazione cattolica, tipico del suo gruppo. Un padre immaginario (Crisostomo) scrive al figlio collegiale per spiegargli il senso della poesia romantica, partendo dal modello di due liriche del Bürger, alla cui traduzione in prosa la lettera fa da premessa. Berchet espone l’esigenza di spostare dalla forma al testo (e quindi ai contenuti) l’attenzione dello scrittore e del lettore di poesia. Egli passa, poi, a chiarire il concetto di “poesia popolare”, per allargare il discorso alla poesia nella sua universalità e moralità, sia individuale sia civile. Il popolo di Berchet è il “popolo medio”: non quello degli ignoranti miserabili (Ottentotti) e neppure l’altro dei passatisti (Parigini), che giudicano la poesia «non dal suffragio immediato delle sensazioni, ma dai confronti [con i Classici]». Berchet si rivolge al “popolo” che comprende tutti i rimanenti individui «leggenti ed ascoltanti, non eccettuati quelli che. avendo anche studiato ed esperimentato quant’altri, pur ritengono attitudine alle emozioni». Oltre ai precedenti lavori (i tre “manifesti” del 1816), va poi ricordato il poemetto in dialetto milanese di Carlo Porta, Il Romanticismo (1818). Un altro momento importante per lo sviluppo delle nuove idee romantiche in Italia è poi costituito dal Conciliatore. Nato a Milano nel settembre del 1818, su impulso del Breme, di Borsieri e di Pellico, il periodico si propone di sancire la conciliazione tra i diversi gruppi di “novatori” lombardi, pervenuti a un accordo su alcuni punti fondamentali. Il nome, quindi, significa l’incontro tra nobili e ultraliberali e quello fra laici (gruppo Pellico) e cattolici (gruppo Berchet). Evidentemente, la conciliazione fu soprattutto una delimitazione di zone nelle quali non bisognava entrare se non con molta discrezione (religione; rapporti con il sensismo; metodologie “giacobine” di lotta politica) e di altre nelle quali, invece, si doveva penetrare ad ogni costo e andare fino in fondo: la presa di posizione anticlassicista e il concetto di progresso (scientifico, culturale e civile). Un Romanticismo italiano, quindi, che si proponeva come leva per un progressivo rinnovarsi di tutte le strutture del Paese: da quelle morali a quelle politiche; e che non poteva non tendere a identificare il Paese con l’intera penisola. In tutto, comunque, il Conciliatore raccolse meno di 250 abbonati! Soprattutto Luigi Porro e Silvio Pellico si sforzarono di familiarizzarsi con il «progresso del secolo» e con l’ammodernamento. Infatti, il periodico era per definizione «un foglio scientifico» oltre che letterario; e le sue materie risultavano quadripartite così:
[a] scienze morali;
[b] letteratura e critica;
[c] statistica ed economia; manifatture; agricoltura; arti e scienze;
[d] varietà.

Il modello del Conciliatore non e l’Inghilterra, ma l’Olanda «che dimostra all’attonito universo fin dove possa giungere la triplice potenza dell’economia, dell’industria e della libertà». In genere, tuttavia, il periodico rifiuta l’imitazione e i modelli. Per quanto riguarda l’immagine dell’uomo di lettere disegnata dal Conciliatore, essa è ben lontana da quella del poeta-vate: vi si delinea, invece, la figura di un individuo che si avvicina con coraggio, ma anche con umiltà pedagogica, ai problemi sia pratici che culturali; estremamente diffidente nei confronti di ogni astrattismo. In tal senso si può affermare un’unione ideale con il Caffè del gruppo Verri. In riferimento invece agli scritti linguistici dei “conciliatoristi”, si assiste ad una coerenza interna, tesa all’interpretazione razionalistica della lingua (contro il Vocabolario della Crusca): il linguaggio consiste nel soddisfare l’esigenza di integrità e di evidenza delle idee; ovvero, l’esigenza di partecipare a tutto il beneficio della cultura umana e dell’incivilimento intellettuale. Il Conciliatore dovette subire una doppia censura austriaca (a partire dal 1819, sempre più drastica). L’ultimo numero risale al 17 dicembre 1819.