Il vitello e il bue

Vitulus pulcher, cui dominus iugum mumquam imposuerat, bovem arva scindentem vidit. «Cur inquit vitulus-vincula toleras? lugum depone et otio te trade! Veni mecum: in herbas laetas discurrere poterimus et in frigida umbra nemorum requiescere». At bos vituli verba neglegens ac sine ulla ira vomere ad vesperum arva vertebat. Tunc aratrum deponebat et fessus in herboso cubili molliter procumbebat. Paulo post tempore vidit vitulum in vinculis apud aram sacram et prope animal sacerdotem cultrum tenentem. Tunc bos: «Tristis vero fuit domini indulgentia – ait – quae te fecit nostri iugi expertem, sed sacrificii arae te destinavit. Prodest ergo graves labores tolerare magis quam (piuttosto che) gaudere otio quod ad ruinam mox ducit». Similis est hominum sors: qui sunt felices saepe morte cita rapiuntur.

Aviano

Un bel vitello, a cui il padrone non aveva mai imposto il giogo, vide un bue che arava i campi. Disse il vitello: «Perché sopporti i vincoli? Lascia il giogo e datti al riposo! Vieni con me: potremo andare qua e là per i prati fiorenti e riposare alla fresca ombra dei boschi». Ma il bue, trascurando le parole del vitello e senza alcuna ira, rivoltava i campi con il vomere fino a sera. Allora deponeva l’aratro e stanco si sdraiava fiaccamente su un giaciglio erboso. Dopo un po’ di tempo vide il vitello in catene presso un altare sacro e vicino all’animale un sacerdote che teneva un pugnale. Allora il bue dice: «In verità è stata triste l’indulgenza del padrone che ti ha reso ignaro del nostro giogo, ma ti ha destinato all’altare del sacrificio. Giova dunque sopportare grevi fatiche piuttosto che gioire di un riposo che conduce presto alla rovina». La sorte degli uomini è simile: coloro che sono felici spesso sono portati via da una morte rapida.