La cicala e la civetta

Cicada interdiu moleste stridebat et querula cantilena urgebat noctuam, solitam cibum in tenebris («nell’oscurità») quaerere et in cavo quiescere horis diurnis («nelle ore diurne»). Tum noctua cicadam rogabat: «Tace, quaeso, quiescere desidero!». Sed cicada strenue clamabat, et importunam querellam augebat. Noctua postulata frustra renovabat; denique garrulae bestiolae silentium fallacia imponere statuit. «Quoniam («Poiché»)» inquit «musica tua mihi («a me») somnium adimit, ad me («da me») advola: tibi («a te») poculum vini praebeo, Minervae donum. Curre et mecum («con me») bibe». Cicadae gula arebat et bestiola cupide accurrit. Sed noctua cicadam comprehendit et devorat. Sic silentium denique obtinet. Fabula demonstrat: qui («chi») ad ceterorum consilia se («se stesso») non accommodat, saepe suae superbiae poenam oppetit.

Una cicala friniva fastidiosamente durante il giorno e con la noiosa cantilena disturbava una civetta, solita cercare il cibo nelle tenebre e riposare nella tana nelle ore diurne. Allora la civetta pregava la cicala: «Sta zitta, per favore, desidero dormire!». Ma la cicala schiamazzava energicamente, ed aumentava l’importuna molestia. La civetta rinnovava invano le richieste; infine decise di imporre il silenzio alla loquace bestiola con un raggiro. «Poiché» disse «la tua musica mi toglie il sonno, vola da me: ti offro una tazza di vino, dono di Minerva. Corri e bevi con me». La gola della cicala e la bestiola accorre avidamente. Ma la civetta afferra la cicala e la divora. Così finalmente ottiene il silenzio. La favola dimostra: chi non adatta se stesso alle intenzioni degli altri, incorre spesso nella punizione della sua superbia.