La cicala e la formica

Olim garrula cicada apud frondosam silvam canebat, laboriosa formica autem assidue laborabat. Cicada formicam videt et bestiolae industriam ita vituperat: «Stulta formica, cur vitam tuam in opera dissipas? Ego contra in umbra requiesco, vitam laetam et sine curis ago, beate canto et agricolas delecto». At sedula formica cicadae pigritiam contemnit, nec insolentiam curat, sed in opera sua perseverat. Sed bruma venit et terram herbasque siccat; pluvia bestiolae in latebris manere coguntur. Propter pristinam industriam formica magnam copiam micarum habet et cum laetitia vivit; cicada, contra, neglegentia sua escam non habet et in miseria est. Tunc formicam implorat: «Da mihi (a me), quaeso, paucas micas: nam famelica sum». Sed improvidae cicadae formica ita respondet: «Antea canebas, nunc salta!».

Un giorno una garrula cicala cantava presso un bosco frondoso, mentre un’industriosa formica lavorava assiduamente. La cicala vede la formica e critica così l’operosità dell’animaletto: «Sciocca formica, perché sprechi la tua vita nel lavoro? Io al contrario riposo all’ombra, conduco una vita felice e senza preoccupazioni, canto beatamente e diletto i contadini». Ma l’operosa formica disprezza la pigrizia della cicala, e non si cura della sfrontatezza, ma persevera nel suo lavoro. Ma l’inverno arriva e secca la terra e le piante; gli animaletti sono costretti a restare nelle tane a causa della pioggia. Grazie alla precedente operosità la formica ha una gran quantità di briciole e vive con gaiezza; la cicala, invece, a causa della sua negligenza non ha cibo ed è in miseria. Allora implora la formica: «Dammi poche briciole, ti prego: infatti sono affamata». Ma la formica risponde così all’imprevidente cicala: «Prima cantavi, ora balla!».