La fondazione di Roma

Iam Albanorum volgus sub geminorum imperio erat. Tum Romulus et Remus statuunt Albanorum ac Latinorum turbam contrahere et oppidum condere. Alter («l’uno») nemorosi saxa Palatii ascendit, alter («l’altro») Aventinum ascendit. Remus videt sex volucres (acc. m. plur. da volucer, -is), Romulus duplum numerum videt. Itaque Romulus arbitrium oppidi habet. Gemini fossam fodiunt, in ima frumentum ponunt, humo fossam replent ibique aram imponunt, ubi novus focus ardet. Romulus premit stivam et sulco murum designat; alba vacca cum tauro albo aratrum trahit. Deinde Romulus deos piis verbis vocat: «Dei et deae propitii este! Oppido meo diuturnam potentiam date». Tunc Iuppiter («Giove», nom. m. sing.) laevo tonitruo bonum praesagium dat.

Il popolo degli Albani era ormai sotto il dominio dei gemelli. Allora Romolo e Remo decidono di riunire la moltitudine degli Albani e dei Latini e di fondare una città. L’uno scala le rocce del boscoso Palatino, l’altro scala l’Aventino. Remo vede sei uccelli, Romolo ne vede un numero doppio. Pertanto Romolo ottiene il potere della città. I gemelli scavano una fossa, mettono del grano sul fondo, riempiono la fossa di terra e lì collocano un altare, dove arde un fuoco nuovo. Romolo spinge l’aratro e delimita il muro con un solco; tira l’aratro una vacca bianca assieme ad un toro bianco. Poi Romolo invoca gli dèi con parole devote: «Dei e dee, siate propizi! Concedete un potere duraturo alla mia città». Allora Giove dà un buon presagio con un tuono da sinistra.