La plebe ottiene il diritto al consolato

Occasio videbatur rerum novandarum propter ingentem vim aeris alieni, cuius levamen mali nullum speraret plebes nisi suis in summo imperio locatis: accingendum erat ad eam cogitationem, quia conando agendoque iam eo gradum fecerunt plebei unde, si porro adniterentur, pervenire ad summa et patribus aequari tam honore quam virtute possent. In praesentia tribunos plebis fieri placuit, quo in magistratu sibimet ipsi viam ad ceteros honores aperirent; creatique tribuni, C. Licinius et L. Sextius promulgavere leges omnes adversus opes patriciorum et pro commodis plebis: unam de aere alieno, ut, deducto eo de capite quod usuris pernumeratum esset, id quod superesset triennio aequis portionibus persolveretur; alteram de modo agrorum, ne quis plus quingenta iugera agri possideret; tertiam, ne tribunorum militum comitia fierent consulumque utique alter ex plebe crearetur. Cuncta videbantur ingentia et quae sine certamine maximo obtineri non possent. Omnium igitur simul rerum, quarum immodica cupido inter mortales est, agri, pecuniae, honorum discrimine proposito conterriti patres, cum trepidassent publicis privatisque consiliis, nullo remedio alio praeter expertam multis iam ante certaminibus intercessionem invento, collegas adversus tribunicias rogationes comparaverunt. Ipso telo plebem, tutantes, Licinius Sextiusque, tribuni plebis refecti, nullos curules magistratus creari passi sunt; eaque solitudo magistratuum per quinquennium urbem tenuit.

Livio

Sembrava il momento opportuno di cambiare le cose per la mole imponente del debito, del cui male la plebe non sperava nessun alleggerimento se non dopo aver collocato i suoi (rappresentanti) al sommo comando: bisognava disporsi per quel piano, poiché i plebei, tentando e agendo, giunsero già ad una posizione tale da cui, se si fossero sforzati oltre, potevano giungere al vertice ed uguagliare i patrizi tanto nell’onore quanto nel valore. Per il momento parve opportuno che si eleggessero i tribuni della plebe, nella cui magistratura essi stessi aprissero a sé la strada per le altre cariche; ed eletti i tribuni, Gaio Licinio e Lucio Sestio promulgarono tutte leggi contro il potere dei patrizi e in difesa degli interessi della plebe: una sul debito, affinché, dedotto dal capitale ciò che era stato pagato con gli interessi, ciò che fosse avanzato si pagasse in tre anni in parti uguali; un’altra sull’estensione dei campi, affinché nessuno possedesse più di cinquecento iugeri di terra; la terza, che non si facessero comizi dei tribuni militari e uno dei due consoli fosse in ogni caso scelto dalla plebe. Sembravano tutte cose importanti e che non potessero essere ottenuto senza una grandissima contesa. Essendo dunque stata proposta contemporaneamente una limitazione di tutte le cose di cui tra gli uomini vi è una smodata brama, (cioè) la terra, il denaro, gli onori, i patrizi, atterriti, essendosi affannati in riunioni pubbliche e private, non essendo stato trovato alcun rimedio all’infuori dell’intercessione, già sperimentata in precedenza in molte lotte, si procurarono dei colleghi contro le proposte dei tribuni. Difendendo la plebe con la stessa arma, Licinio e Sestio, rieletti tribuni della plebe, non permisero che si eleggesse alcun magistrato curule; questa carenza di magistrati occupò la città per cinque anni.