L’amicizia di Damone e Finzia

Damon et Phintias Pythagoricae prudentiae sacris initiati tam fidelem inter se amicitiam iunxerant, ut, *** alterum ex his Dionysius Syracusanus interficere vellet, atque is tempus ab eo, quo prius quam periret domum profectus res suas ordinaret, impetravisset, alter vadem se pro reditu eius tyranno dare non dubitaret. Solutus erat periculo mortis qui modo gladio cervices subiectas habuerat: eidem caput suum subiecerat cui securo vivere licebat. Igitur omnes et in primis Dionysius novae atque ancipitis rei exitum speculabantur. Adpropinquante deinde finita die nec illo redeunte unus quisque stultitiae tam temerarium sponsorem damnabat. At is nihil se de amici constantia metuere praedicabat. Eodem autem momento et hora a Dionysio constituta et eam qui acceperat supervenit. Admiratus amborum animum tyrannus supplicium fidei remisit insuperque eos rogavit ut se in societatem amicitiae tertium sodalicii gradum mutua culturum benivolentia reciperent. Hascine vires amicitiae? Mortis contemptum ingenerare, vitae dulcedinem extinguere, crudelitatem mansuefacere, odium in amorem convertere, poenam beneficio pensare potuerunt. Quibus paene tantum venerationis quantum deorum inmortalium caerimoniis debetur: illis enim publica salus, his privata continetur, atque ut illarum aedes sacra domicilia, harum fida hominum pectora quasi quaedam sancto spiritu referta templa sunt.

Damone e Finzia, iniziati ai misteri della dottrina pitagorica, avevano stretto tra loro un’amicizia tanto stretta che, volendo Dionigi di Siracusa uccidere uno dei due, e avendo questo ottenuto da lui (Dionigi) di il tempo per tornare in patria a sistemare i suoi affari prima di morire, l’altro non esitò a offrirsi al tiranno come garante per il ritorno dell’amico. Era liberato dal pericolo di morte uno che poco prima aveva il collo sotto la spada; alla stessa (spada) aveva accostato la propria testa uno che poteva vivere al sicuro. Tutti allora e per primo Dionigi osservavano l’esito del nuovo e incerto fatto. Avvicinandosi in seguito il giorno stabilito e non essendo quello ritornato, ciascuno tacciava di stupidità il garante così incosciente. Ma quello proclamava di non temere nulla riguardo la coerenza dell’amico. Infatti nello stesso momento arrivarono sia l’ora stabilita da Dionigi, sia colui che l’aveva accettata. Allora il tiranno, ammirando il carattere di entrambi, revocò la condanna per la (loro) fedeltà e inoltre chiese loro di accoglierlo nel vincolo di amicizia come un terzo gradino della compagnia (promettendo di) osservare l’affetto reciproco. Queste (sono) le forze dell’amicizia? Hanno potuto infondere il disprezzo della morte, far dimenticare la dolcezza della vita, rendere mansueta la crudeltà, mutare l’odio in amore, compensare la pena col beneficio. A queste andrebbe dovuta quasi la stessa venerazione che quella nelle cerimonie per gli dei immortali: a quelli infatti compete la salute di tutti, a queste (le forze dell’amicizia) la salute degli intimi, e come quelli hanno per sedi i sacri templi, di questi sono per cosi dire templi i cuori fedeli degli uomini, riempiti di un’anima divina.