L’arresto di Manlio

Dictator Manlium in vincla duci iussit. Arreptus a viatore «Iuppiter – inquit – optime maxime Iunoque regina ac Minerva ceterique di deaeque, qui Capitolium arcemque incolitis, sicine vestrum militem ac praesidem sinitis vexari ab inimicis? Haec dextra, qua Gallos fudi a delubris vestris, iam in vinclis et catenis erit?». Nullius nec oculi nec aures indignitatem ferebant; sed patientissima iusti imperii civitas erat, nec adversus dictatoriam vim aut tribuni plebis aut ipsa plebs attollere oculos aut hiscere audebat. Coniecto in carcerem Manlio, satis constat magnam partem plebis vestem mutasse, multos mortales capillum ac barbam promisisse obversatamque (esse) vestibulo carceris maestam turbam. Abdicatio dictaturae linguam et animos hominum liberavit: iam ne nocte quidem turba ex eo loco dilabebatur refracturosque (esse) carcerem minabantur cum ex senatus consulto Manlius vinculis liberatur.

Maiorum Lingua C

Il dittatore ordinò che Manlio fosse incarcerato. Afferrato da un messo, disse: “Giove Ottimo Massimo, Giunone regina, Minerva e dei e dee, che dimorate sulla rocca del Campidoglio, permette dunque che un vostro soldato e difensore sia torturato dai nemici? Questa mano destra, con la quale io ho disperso i Galli dai vostri santuari, sarà messa in catene?”. Gli occhi e le orecchie di nessuno sopportavano l’oltraggio; ma la città di un dominio giusto era assai tollerante e i tribuni della plebe o la plebe non osavano alzare gli occhi o aprire bocca contro la forza del dittatore. Dopo che Manlio fu spinto in carcere, si sapeva abbastanza che la maggior parte della plebe aveva cambiato abito e che molti uomini avevano lasciato crescere capelli e barba e che una folla addolorata si aggirava davanti all’ingresso della prigione. La rinuncia alla dittatura liberò la lingua e gli animi degli uomini: nemmeno di notte la folla si allontanava da quel luogo e minacciavano di sfondare le porte della prigione quando Manlio veniva liberato per mezzo di un decreto del senato.