L’assassinio di Giulio Cesare

Caesarem assidentem conspirati circumsteterunt. Cimber Tillius quasi aliquid rogaturus propius accessit et ab utroque humero togam apprehendit. Deinde Casca infra iugulum vulnerat eum aversum et clamantem: «Ista quidem vis est!». Caesar Cascae brachium arreptum graphio traiecit sed alio vulnere tardatus est. Ut animadvertit undique se strictis pugionibus peti, toga caput obvolvit; atque ita tribus et viginti plagis confossus est, uno modo gemitu ad primum ictum sine voce edito. Quidam contra tradiderunt eum M. Bruto irruenti dixisse: «Tu quoque, Brute, fili mi!». Exanimis, diffugientibus cunctis, aliquandiu iacuit, donec lecticae positum, dependente brachio, tres famuli domum eum reduxerunt.

I congiurati attorniarono Cesare mentre si sedeva. Il Cimbro Tillio si fece più vicino come per chiedergli qualcosa e afferrò la toga alle spalle. Quindi Casca lo ferì al di sotto della gola mentre lui era voltato e gridava: “Questa è proprio una violenza!”. Cesare trafisse con lo stilo il braccio di Casca che aveva afferrato, ma venne bloccato da un’altra coltellata. Quando si accorse di essere assalito con i pugnali sguainati da ogni parte, avvolse il capo con la toga; e così venne trafitto da ventitrè pugnalate, con l’emissione soltanto di un gemito al primo colpo, senza una parola. Alcuni al contrario hanno tramandato che egli disse a Marco Bruto che si gettava su di lui: “Anche tu, Bruto, figlio mio!”. Senza vita, mentre tutti quanti fuggivano, giacque a terra per molto tempo, finché posto su una lettiga, con un braccio penzolante, tre giovani schiavi lo riportarono a casa.