Le oche del Campidoglio salvano Roma

Tantum Galli Romanos oderant ut impetum sibi in arcem faciendum esse statuerint. Primo, militem qui tentaret viam praemiserunt. Tum nocte sublustri sublevantes invicem et trahentes alii alios in summum saxum evaserunt, tanto silentio ut non solum custodes fallerent, sed ne canes quidem excitarent. Anseres non fefellere, quibus in summa inopia Romani abstinuerant, quia aves erant Iunoni sacrae. Si eae non fuissent, Roma a Gallis vastata esset. Namque anseres clangere et alas quatiere copererunt adeo ut, excitus, Manlius vir bello egregius deiecerit. Sic Romani noverunt Gallos ascendere et ad arma vocati sunt. Deinde Romani hunc casum meminisse statuerunt: unde mos incessit ut solemni pompa, canis in furca suffixus feratur; anser vero velut triumphans in lectica et veste stragula gestetur.

Lhomond

I Galli odiavano a tal punto i Romani che decisero di dover attaccare la rocca. In un primo momento mandarono avanti un soldato che saggiasse la strada. Poi durante una notte debolmente illuminata, sollevandosi a vicenda e issandosi l’un l’altro, giunsero sulla sommità di un masso, con un silenzio tanto grande da eludere non solo i guardiani, ma da non svegliare neppure i cani. Non sfuggirono alle oche, che i Romani (pur) nella grandissima carestia avevano risparmiato, poiché erano uccelli sacri a Giunone. Se esse non ci fossero state, Roma sarebbe stata devastata dai Galli. E infatti le oche cominciarono a starnazzare e ad agitare le ali al punto che, svegliato, Manlio, uomo eccellente in guerra, si slanciò. Così i Romani vennero a sapere che i Galli si arrampicavano e furono chiamati alle armi. In seguito i Romani decisero di ricordare questo evento: da ciò si diffuse l’usanza di condurre in processione solenne un cane appeso alla forca; di portare invece, come trionfante, un’oca su una lettiga e un drappo.