Sdegnata reazione di Scipione a una richiesta dei tribuni della plebe

Tribuni plebis, a M. Catone, inimico Scipionis comparati in eum atque inmissi, desiderabant in senatu instantissime, ut pecuniae Antiochiae praedaeque in eo bello captae rationem redderet; Scipio enim fuerat legatus L. Scipioni Asiatico, fratri suo, imperatori in ea provincia. Ibi Scipio exsurgit et, prolato e sinu togae libro, rationes in eo scriptas esse dixit omnis pecuniae omnisque praedae; praeterea declaravit librum illum a se idcirco illatum esse, ut palam recitaretur et ad aerarium deferretur. «Sed enim id iam non faciam», inquit «nec me ipse afficiam contumelia», eumque librum statim coram discidit suis manibus et concerpsit, aegre passus quod sibi, cui ab omnibus civibus agenda esset gratia salutis imperii ac reipublicae, rationem pecuniae praedaticiae posceretur.

Gellio

I tribuni della plebe, da Marco Catone, nemico di Scipione, istigati e mandati contro di lui, in senato richiedevano in maniera molto pressante che rendesse il conto del denaro di Antioco e del bottino preso in quella guerra; Scipione infatti era stato luogotenente di Lucio Scipione Asiatico, suo fratello, comandante supremo in quella provincia. Allora Scipione si alzò in piedi e, tirato fuori da una tasca della toga un libro, disse che su quello erano scritte le somme di tutto il denaro e di tutto il bottino; inoltre dichiarò che quel libro era stato da lui portato al fine di essere letto pubblicamente ed essere consegnato all’erario. «Ma senza dubbio ora non lo farò» disse «non oltraggerò me stesso», e con le sue mani strappò subito in presenza di tutti quel libro e lo lacerò, avendo di malanimo tollerato il fatto che a lui, che tutti i concittadini dovevano ringraziare della salvezza dell’impero e dello Stato, si chiedesse il rendiconto del denaro, del bottino.