Un convitato piuttosto irascibile

Cum Ascyltus, intemperantis licentiae, usque ad lacrimas rideret, unus ex conlibertis Trimalchionis excanduit, is ipse qui apud me discumbebat, et: «Quid rides, inquit (“disse”), berbex? An tibi non placent lautitiae domini mei? Rides! Quid rides? Eques Romanus es? Et ego regis filius. Quare ergo – mihi quaeris – servivisti? Quia ipse me dedi in servitutem et malui (“ho preferito”) civis Romanus esse quam tributarius. Homo inter homines sum, capite aperto ambulo; assem aerarium nemini (“a nessuno”, dat. m. sing.) debeo; constitutum habui nunquam; nemo (“nessuno”, nom. m. sing.) mihi in foro dixit: “Redde quod debes”. Glebulas emi, lamellulas paravi; viginti (“venti”) ventres pasco et canem; contubernalem meam redemi; mille (“mille”) denarios pro capite solvi». Post hoc dictum Giton, qui ad pedes stabat, risum iam diu compressum etiam indecenter effudit. Quod cum animadvertisset adversarius Ascylti, flexit convicium in puerum et: «Tu autem, inquit (“disse”), etiam tu rides, caepa cirrata? In Saturnalibus sumus? Mensis December est? Bella res et iste, qui te haec docet: mufrius, non magister!». Coeperat Ascyltus respondere convicio, sed Trimalchio delectatus colliberti eloquentia dixit: «Desinite iurgium facere et tu, Hermeros, parce adulescentulo. Sanguis illi fervet, tu melior esto (“tu sii migliore di lui”)».

Petronio

Poiché Ascilto, di smodata sfrontatezza, rideva fino alle lacrime, uno dei compagni di affrancamento di Trimalchione, proprio quello che era sdraiato vicino a me, si accese d’ira e disse: «Perché ridi, stupido? Forse non ti piacciono le sontuosità del mio signore? Ridi! Che cosa ridi? Sei un cavaliere Romano? E io sono figlio di un re. Dunque per quale motivo – mi chiedi – sei stato schiavo? Perché io stesso mi sono offerto in servitù e ho preferito essere cittadino Romano piuttosto che soggetto a tributo. Sono un uomo tra gli uomini, cammino a capo scoperto; non devo un asse di bronzo a nessuno; non ho mai avuto una prescrizione; nessuno nel foro mi ha detto: “Rendi ciò che devi”. Ho acquistato piccoli campi, ho guadagnato piccole monete; nutro venti ventri e un cane; ho riscattato la mia compagna; ho sborsato mille denari in pagamento della mia persona». Dopo queste parole Gitone, che stava ai miei piedi, scoppiò, anche in modo indecente, in una risata già a lungo trattenuta. Poiché l’avversario di Ascilto se ne era accorto, rivolse lo scherno contro il ragazzo e disse: «Ora tu, anche tu ridi, cipolla ricciuta? Siamo nei Saturnali? È il mese di Dicembre? Bella roba e costui che ti insegna queste cose: un ciarlatano, non un maestro!». Ascilto aveva cominciato a rispondere all’insulto, ma Trimalchione, dilettato dall’eloquenza del suo compagno affrancato, disse: «Finite di litigare, e tu, Ermerote, perdona il giovinetto. A lui bolle il sangue, tu sii migliore di lui».