Un invito a cena

Aemilius Romam post aliquot annos remeavit et Clodiom, veterem condiscipulum, forte in foro convenit. Post multas et datas er acceptas consalutationes, Clodius amicum ad cenam invitavit: «Sic usque ad multam noctem colloquium producere poterimus». «Ubi habitas?» quaesivit Aemilius. «Pergito via Appia usque ad quintum decimum miliarium; ibi invenies sinistrorsum splendidum palatium, prospiciens amplum viridarium; illic habito, sub tegulis, cum uxore et puerorum coetu. Ad octavum tabulatum ascendito: ianuam videbis, pede pulsato…». «At nonne inest («Non c’è forse») in domo tua tintinnabulum? Cur pede pulsare debebo?». «Quia aliter non poteris: manus enim, ut («come») puto, plenae erunt muneribus!».

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Emilio ritornò a Roma dopo alcuni anni e incontrò per caso al foro Clodio, vecchio condiscepolo. Dopo aver porto e ricevuto molti saluti, Clodio invitò l’amico a cena: “Così potremo parlare fino a tarda notte”. “Dove abiti?” chiese Emilio. “Continua sulla via Appia per 15 miglia (fino alla quindicesima pietra miliare); là a sinistra troverai uno splendido palazzo, affacciato su un grande giardino; là abito, sotto al tetto, in riunione con la moglie e i figli. Salirai all’ottavo piano: vedrai una porta, dopo aver battuto col piede la terra…”. ” Non c’è forse a casa tua un campanello? Perché dovrò battere col piede la terra?”. “Perché non potrai diversamente: le mani infatti, come penso, saranno piene di doni”.