Un’utile opera di divulgazione culturale

Si quis requirit quae causa me impulerit ut tam sero ad philosophiae studia me conferrem, facile id explicare potero. Nam cum otio languerem et talis esset rei publicae status ut eam unius consilio gubernari necesse esset, ipsius rei publicae causa philosophiam nostris hominibus explicandam putavi, magni existimans interesse ad decus et ad laudem civitatis res tam graves tamque praeclaras Latinis etiam litteris contineri. Nec operae meae me paenitet, quia multorum non modo discendi, sed etiam scribendi studia commovi. Complures enim docti homines, Graecis institutionibus eruditi, cum civibus suis ea quae didicerant communicare non poterant, quod illa, quae a Graecis accepissent, Latine dici posse diffiderent. Mea igitur magnopere intererat nostrorum civium doctrinam augeri. Nunc autem etiam in philosophiae studiis tantum profecisse videmur ut a Graecis ne verborum quidem copia vinceremur.

Cicerone

Se qualcuno (mi) chiede quale ragione mi abbia spinto a dedicarmi così tardi agli studi della filosofia, potrò spiegare facilmente ciò. Infatti, poiché languivo nell’ozio e la condizione dello Stato era tale che era necessario che esso fosse guidato dalla mente di un solo uomo, pensai che per lo Stato stesso la filosofia dovesse essere spiegata ai nostri uomini, ritenendo che fosse molto importante, per l’onore e la fama della cittadinanza, che argomenti tanto seri e tanto importanti, fossero contenuti anche nella letteratura Latina. E non mi pento del mio lavoro, poiché ho stimolato le volontà di molti non solo di imparare, ma anche di scrivere. Infatti moltissimi uomini colti, istruiti secondo i sistemi Greci, non potevano condividere con i loro concittadini quelle cose che avevano imparato, poiché non nutrivano fiducia che quelle cose, che avevano appreso dai Greci, potessero essere espresse in Latino. Perciò a me importava molto che la cultura dei nostri concittadini venisse accresciuta. Ora invece sembra che anche negli studi di filosofia abbiamo fatto progressi tanto grandi che non saremmo sconfitti dai Greci neppure quanto a ricchezza del vocabolario (lett: “delle parole”).