L’occhio del padrone è sempre molto attento

Cervus ex nemorum latibulis excitatus, ut efugeret (“per fuggire”) venatores et instantem necem, caeco timore captus vicinam villam petit et in bovili se condidit. Bos illi latenti dixit: “Ruinam tibi paravisti, infelix, quia ad necem cucurristi hominum tecto te committens.” At ille supplex, sibimet metuens, respondit: “Vos modo mihi parcite (+ dat.); occasione data rursus e bovili erumpam et in silva me occultabo”. Cum dies inem habiturus erat, bubulcus rondem gerit sed cervum non videt. Excedunt et revertunt subinde omnes rustici, nemo (“nessuno”, sogg.) illum animadvertit: in stabulum etiam vilicus venit nec eum (“lo”) sentit. Tum secum gaudens cervus salvum se putabat et bubus quietis gratias agebat, quia ei (“gli”, “a lui”) hospitium illi dederant adverso tempore sibi spatium subtrahentes. Respondit unus: “Salvum te cupimus quidem; sed si dominus, oculos centum (“cento”, indeclinabile) habens, venerit, magnum periculum tibi et vitae tuae erit”. Inter haec dominus a cena decessit et, quia boves neglectos viderat, accedit ad praesepe et se irā incensum ostendens clamavit: “Cur rondes paucae sunt et stramenta desunt (“mancano”)? Cur haec aranea sublata non sunt?” et, dum omnia inspiciuntur, cervi quoque alta cornua videntur. Convocata familia, cervus occisus est et dominus bonam praedam sibi procuravit. Hac fabula dominus sedulus ad sese et res suas signiicatur.

Ad Litteram – Esercizi 1 – Pag.203 n.4 – Fedro

Un cervo spronato fuori dai nascondigli dei boschi per sfuggire ai cacciatori e alla morte incombente, preso da cieca paura raggiunse una vicina fattoria e si rifugiò nella stalla dei buoi. Un bue disse a colui che si nascondeva: “Hai preparato la tua rovina, infelice, perché sei corso verso la morte affidandoti al tetto degli uomini”. Ma quello supplichevole, temendo per sé stesso, rispose: “Almeno voi risparmiatemi; quando me ne sarà data occasione correrò di nuovo fuori dalla stalla e mi nasconderò nel bosco”. (Dato che “inem” e “rondem” non esistono traduco a naso). Com’era solito fare alla fine del giorno il bifolco/stalliere porta fogliame/fronde ma non vede il cervo. Escono e ritornano subito dopo tutti i contadini, nessuno si accorge di lui: entra nella stalla anche il fattore e non si avvede di lui. Allora godendo fra di sé il cervo si crede salvo e ringraziava i buoi tranquilli/complici perché gli avevano dato rifugio in un momento di difficoltà sottraendo spazio a sé stessi. Rispose uno [dei buoi]: “Anche noi ti vogliamo salvo; ma se verrà (lett. sarà arrivato) il padrone, che ha cento occhi, ci sarà un gran pericolo per te e per la tua vita”. Nel frattempo il padrone si alzò da pranzo e, poiché aveva visto i buoi trascurati, si avvicinò alla mangiatoia e, mostrandosi acceso d’ira, gridò: “Perché le frasche sono poche e mancano le biade? Perché non sono state rimosse queste ragnatele?” e, mentre ispeziona ogni cosa, si accorge (lett. si vedono anche) delle alte corna del cervo. Chiamata a raccolta la famiglia, il cervo fu ucciso ed il padrone si procurò una buona preda. Questa favola mostra che un padrone è attento a sé ed alle sue cose.