Nessuno dovrebbe lamentarsi dei suoi mali

Solon, cum ex amicis quendam graviter maerentem videret, in Athenarum arcem perduxit hortatusque est ut per omnes subiectorum aedificiorum partes oculos circumferret. Quod ut factum animadvertit, “Cogita nunc tecum” inquit “quam multi luctus sub his tects et olim fuerint et hodie versentur et insequentibus saeculis sint habitaturi ac mitte mortalium incommoda tamquam propria deflere.” Qua consolatione demonstravit urbes esse humanarum cladium consaepta miseranda. “Si in unum locum” aiebat “cuncti mala sua contulissent, accidisset ut mellent propria mala deportare domum quam ex communi miseriarum acervo portionem suam ferre.” Quo colligebat non oportere nos quae fuortuito patiamur intolerabilia iudicare.

Valerio Massimo, Fatti e detti memorabili, VII 2.ext 2

Solone, vedendo un suo amico [lett. uno (quendam) dei suoi amici (partitivo)] molto affranto [graviter maerentem] – lo condusse sull’acropoli [in arcem] ateniese e lo esortò ad abbracciare con lo sguardo il panorama [circumferret oculos per partes omnes] degli edifici sottostanti [subiectorum]. Appena vide che (l’amico) ebbe seguìto (la sua esortazione), (Solone) disse: “Ora, rifletti, con te stesso, su quanti lutti ci sono stati un tempo, ci sono oggi e ci saranno per i secoli a venire in queste case [lett. sotto questi tetti] e smettila (una buona volta) di piangere sulle umane sciagure [incommoda mortalium] come (se fossero solamente) tue proprie!Con tale ammonimento consolatorio, (Solone) espresse (il fatto) che le città (non) sono (altro che) miserevoli ricettacoli di umane disgrazie.”Se tutti [= ogni uomo, in assoluto] – affermava – avessero raccolto i propri mali in un sol luogo, sarebbe accaduto ch’essi avrebbero preferito riportarsi a casa i propri mali, piuttosto che prendere (a caso) la propria porzione dal mucchio comune delle (umane) miserie”. Ragion per cui [quo], (Solone) concludeva che non è davvero il caso di considerare intollerabile/ingiusto [nos non oportere iudicare intolerabilia] ciò che ci viene comminato dal destino [quae patiamur fortuito].