La favola di Narciso (I)

Narcissus, nymphae Liriopes (“Liriope”, gen.) et Cephisi rivi filius, totum se (“si”, acc.) dabat venatui (“alla caccia”) et Dianae uni dearum sacrificia perficiebat, puellas autem nymphasque omnes (“tutte”, acc. f.) spernebat. Narcissus enim inter ceteros pueros longe forma eximia excellebat, sed semper in densis silvis sine amicis et puellis solus vitam agebat. Errabat olim pulcher puer per aspera iuga, et tandem ad limpidas placidi rivi aquas perveniebat. Nulla fera vel avis (“uccello”, nom. f.) nitidas argentei rivi undas turbabat nec ramus ullus de planta ex alto decidebat. Puer apud rivum stat labiaque ad aquam admovet, sed subito (avv.) turbatus restat: vultum (“volto”, acc. m.) mirum formamque suam eximiam in immota aqua aspicit et obstupescit.

Narciso, figlio della ninfa Liriope e del fiume Cefiso, si dedicava tutto alla caccia e tra le dee compiva sacrifici alla sola Diana, mentre disprezzava tutte le fanciulle e le ninfe. Narciso infatti si distingueva tra gli altri giovani di gran lunga per la straordinaria bellezza, ma viveva sempre da solo nei fitti boschi senza amici e fanciulle. Un giorno il bel giovane vagava per i monti impervi, e alla fine giungeva presso le limpide acque di un placido ruscello. Nessun animale o uccello turbava le terse acque dell’argenteo ruscello né alcun ramo cadeva dall’alto da un albero. Il giovane si ferma presso il ruscello e avvicina le labbra all’acqua, ma all’improvviso rimane turbato: scorge il volto meraviglioso e la sua straordinaria bellezza nell’acqua immobile e si stupisce.