De Beneficiis – Liber III, 18

Quanquam quaeritur a quibusdam, sicut ab Hecatone, an beneficium dare seruus domino posuit? Sunt enim qui ita distinguunt, quaedam beneficia esse, quaedam officia, quaedam ministeria; beneficium esse, quod alienus det: alienus est, qui potuit sine reprehensione cessare; officium esse filii, uxoris, et earum personarum, quas necessitudo suscitat, et ferre opem iubet; ministerium esse serui, quem conditio sua eo loco posuit, ut nihil eorum qui praestat, imputet superiori. Praeterea seruos qui negat dare aliquando domino beneficium, ignarus est iuris humani; refert enim cuius animi sit, qui praestat, non cuius status. Nulli praeclusa uirtus est: omnibus patet, omnes admittit, omnes inuitat, ingenuos, libertinos, seruos, reges, et exsules; non eligit domum, nec censum: nudo homine contenta est. Quid enim erat tuti aduersus repentina; quid animus magnum promitteret sibi, si certam uirtutem fortuna mutaret? Si non dat beneficium seruus domino, nec regi quisquam suo, nec duci suo miles. Quid enim interest, quali quis teneatur imperio, si summo tenetur? Nam si seruo, quo minus in nomen meriti perueniat, necessitas obest, et patiendi ultima timor, idem istud obstabit, et ei qui regem habet, et ei qui ducem; quoniam, sub dispari titulo, paria in illos licent. Atqui dant regibus suis, dant imperatoribus beneficia: ergo et dominis. Potest seruus iustus esse, potest fortis, potest magnanimus: ergo et beneficium dare potest. Nam et hoc uirtutis est; adeoque dominis serui beneficia possunt dare, ut ipsos saepe beneficii sui fecerint.

Tuttavia viene chiesto a qualcuno, come a Ecatone, se un servo possa fare beneficio al padrone. Ci sono coloro che distinguono così, che cosa siano i benefici, che cosa i doveri, che cosa i servizi; il beneficio è, ciò che un altro dà: l’estraneo è chi avrebbe potuto astenersi senza rimprovero; il dovere è proprio del figlio, della moglie e di quelle persone che la parentela spinge e ordina che compiano il dovere; il servizio è proprio del servo, che la sua condizione lo pose in quella posizione tale per cui non può attribuirsi come un merito, nei confronti di chi gli è superiore, nessuna di queste cose che fa come un di più. E’ ignaro dei diritti umani colui che dice che il servo non dà mai benefici al padrone; importa infatti di quale animo sia chi fa il servizio non di che livello sociale. La virtù non è preclusa a nessuno; sopporta tutti, ammette tutti, invita tutti, sia liberi sia liberti sia servi sia re sia esuli; non preferisce casa ne censo: è contenta del nudo uomo. Che cosa ci sarebbe di sicuro contro gli avvenimenti improvvisi, che cosa prometterebbe a se stesso l’animo di grande, se la fortuna mutasse la certa virtù? Se il servo non desse beneficio al padrone, neppure qualcuno potrebbe darlo al proprio re, ne il soldato al suo comandante; cosa infatti interessa chi tiene quale potere, se tutto è tenuto da un sommo potere? Infatti se la costrizione e l’estremo timore di sopportare le dure punizioni, si oppone a che il servo possa diventare un benefattore, allo stesso modo questo impedirà anche a colui che ha un re e a colui che ha un condottiero, anche se sotto un nome diverso, anche a questi sono permesse le stesse cose. Eppure danno benefici ai loro re, ne danno ai loro comandanti: quindi anche ai padroni. Il servo può essere giusto, può essere coraggioso, può essere di grande animo: quindi può dare beneficio. Infatti anche ciò fa parte della virtù. Quindi a tal punto i servi possono dare benefici ai padroni che spesso sono fatti grandi dai loro benefici.