La cecità non è di ostacolo all’attività intellettuale

Diodorus Stoicus, cum caecus esset, in philosophia multo etiam magis adsidue quam antea versabatur et fidibus Pythagoreorum more utebatur, eique libri noctes et dies legebantur et – quod sine oculis fieri posse vix videtur – geometriae munus tuebatur, verbis praecipiens discentibus unde et quo quamque lineam scriberent. Democritus, luminibus amissis, alba scilicet discernere et atra non poterat; at vero bona mala, aequa iniqua, honestia turpia, utilia inutilia, magna parva poterat et sine varietate colorum poterat vivere beate. Traditum est etiam Homerum caecum fuisse. At eius picturam, non poesim videmus. Quae regio, quae ora, qui locus Graeciae, quae species formaque pugnae non ita expicta est ut, quae ipse non viderit, effecerit ut nos videremus? Itaque augurem Tiresiam, quem sapientem fingunt poetae, numquam inducunt deplorantem caecitatem suam. At vero Polyphemum Homerus, cum immanem ferumque finxisset, cum ariete colloquentem facit et caecitatem querentem. Sed nihilo erat ipse Cyclops quam aries suus prudentior.

Cicerone

Lo Stoico Diodoro, quando era cieco, si applicava nella filosofia anche molto più assiduamente di prima e suonava, secondo il costume dei Pitagorici, la cetra, e gli venivano letti i libri di giorno e di notte e – cosa che a stento sembra possa essere accaduta senza la vista – svolgeva l’ufficio di maestro di geometria, insegnando con le parole agli scolari da dove e in che punto potessero tracciare ciascuna linea. Democrito, perduta la vista, non poteva, è evidente, distinguere le cose bianche e le cose nere; ma certamente poteva distinguere le cose buone e le cattive, le giuste e le ingiuste, le oneste e le disoneste, le utili e le inutili, le grandi e le piccole, e senza la varietà dei colori poteva vivere felicemente. Si tramanda che anche Omero fosse cieco. Ma noi vediamo la sua pittura, non la sua poesia. Quale regione, quale costa, quale zona della Grecia, quale specie e tipo di battaglia non è stata dipinta in modo tale da far sì che noi vedessimo quelle cose che egli stesso non vide? E così l’indovino Tiresia, che i poeti rappresentano come un saggio, essi non lo descrivono mai che deplora la propria cecità. Invece Omero mostra Polifemo, avendolo immaginato gigantesco e selvaggio, mentre parla con un ariete e si lamenta della sua cecità. Ma il Ciclope stesso non era affatto più saggio del suo ariete.