La vera felicità

Gyges regno Lydiae armis et divitiis abundantissimo superbus Apollinem Pythium interrogatum venit essetne quis mortalium se felicior. Putabat enim se omnium mortalium felicissimum esse. Deus autem ex abdito sacrarii specu voce missa Aglaum Psophidium ei praetulit. Is erat pauperrimus, sed iam aetate senior terminos agelli sui numquam excesserat, parvuli ruris fructibus contentus. Apollo regi insolenter fulgore fortunae suae glorianti respondit se magis probare tugurium securitate ridens quam regiam tristem curis et sollicitudinibus, paucasque glebas pavoris expertes quam pinguissima Lydiae arva metu referta, et unum aut alterum iugum boum facilis tutelae quam exercitum et arma et equitatum impensis onerosum, et horreolum quam thesauros omnium insidiis et cupiditatibus expositos. Ita Gyges quae felicitas solida et sincera esset didicit.

Valerio Massimo

Gige, orgoglioso per il regno della Lidia ricchissimo di armi e di beni, andò a chiedere ad Apollo Pizio se ci fosse qualche uomo più felice di lui. Riteneva infatti di essere il più felice di tutti i mortali. Invece il dio, emessa la voce dalla nascosta profondità del sacrario, gli antepose Aglao Psofidio. Costui era poverissimo, per di più ormai molto vecchio non aveva mai lasciato i confini del suo campicello, soddisfatto dei frutti del piccolo podere. Al re che si gloriava superbamente dello splendore della sua fortuna Apollo rispose di apprezzare di più un tugurio sorridente per l’assenza di preoccupazioni che una reggia triste per gli affanni e i pensieri, e poche zolle libere dalla paura piuttosto che i fertilissimi campi della Lidia pieni di timore, e una o due paia di buoi di facile custodia piuttosto che un esercito e armi e una cavalleria gravosi per le spese, e un piccolo granaio piuttosto che tesori esposti alle brame e alle insidie di tutti. Così Gige apprese quale fosse la vera e pura felicità.