L’evocatio (Macrobio)

Romani, cum obsiderent urbem hostium eamque iam capi posse confiderent, certo carmine evocabant tutelares deos, quia aut aliter urbem capere non crederent, aut, etiam si possent, nefas aestimarent deos habere captivos. Carmine huius modi deos evocabant cum civitas oppugnatione cingitur: «Si deus, si dea est, cui populus civitasque Carthaginiensis est in tutela, teque maxime, qui urbis huius populique tutelam recepisti, precor venerorque, veniamque a vobis peto ut vos populum civitatemque Carthaginiensem deseratis, loca templa sacra urbemque eorum relinquatis, absque his abeatis eique populo civitatique metum formidinem oblivionem iniciatis, propitiique Romam ad me meosque veniatis, nostraque vobis loca, templa, sacra, urbs acceptior probatiorque sit, mihique populoque Romano militibusque meis propitii sitis. Si ita feceritis, voveo vobis templa ludosque facturum».

Macrobio

I Romani, quando assediavano una città dei nemici ed erano convinti che essa ormai potesse essere conquistata, evocavano gli dèi tutelari con una formula religiosa stabilita, poiché o non credevano di conquistare diversamente la città, o, se anche potessero, ritenevano un’empietà avere gli dèi come prigionieri. Quando la città viene cinta d’assedio evocavano gli dèi con una formula di questo tipo: «Se vi è un dio, se vi è una dea, sotto la cui protezione si trova il popolo e la città di Cartagine, e soprattutto tu, che hai assunto la difesa di questa città e popolo, vi prego, vi imploro, vi chiedo la grazia di abbandonare il popolo e la città di Cartagine, di lasciare i loro luoghi, i templi sacri e la città, di allontanarvi da essi e di infondere in questo popolo e città la paura, il terrore e l’oblio, di venire propizi a Roma da me e dai miei, e che i nostri luoghi, templi, riti sacri, città siano per voi più accettabili e graditi, di essere propizi a me, al popolo Romano e ai miei soldati. Se così avrete fatto, faccio voto che vi consacrerò templi e giochi».