Pigmalione [seconda parte]

Olim Pygmalion ad aras Veneris constitit et timide deae dixit: «Si, di, dare omnia potestis, mihi concedite coniugem similem meae virgini eburneae». Sensit aurea Venus et vera artificis vota perspexit. Ut revertit, Pygmalion statim ad suae puellae simulacrum accedit et oscula ei dedit: tepere ei visa est (sembrò). Admovet os iterum, digitis quoque pectus temptat: rigor evanescit et ebur mollescit ut cera remollescit sole. Pygmalion stupet et laetitia exsultat et dubius timet. Rursus virginem suam permulcet: corpus vivum, non ebur est! Pollice suo temptat venas salientes, ore suo tandem os non falsum premit. Oscula virgo sensit et erubuit et timidos oculos attollens pariter cum caelo vidit amantem.

Ovidio

Un giorno Pigmalione si fermò presso gli altari di Venere e disse timidamente alla dea: «Se, o dei, potete concedere ogni cosa, concedetemi una moglie simile alla mia fanciulla d’avorio». L’aurea Venere sentì e comprese i sinceri desideri dell’artista. Quando ritornò, Pigmalione subito si avvicinò alla statua della sua fanciulla e le diede dei baci: gli sembrò che fosse tiepida. Avvicina di nuovo la bocca, tocca anche il petto con le dita: la rigidità svanisce e l’avorio diventa morbido come la cera diventa molle a causa del sole. Pigmalione resta attonito, esulta di gioia ed esita, dubbioso. Accarezza di nuovo la sua fanciulla: è corpo vivo, non avorio! Con il suo pollice tasta le vene che pulsano, con la sua bocca bacia finalmente una bocca vera (non falsa). La fanciulla percepisce i baci, arrossisce e, alzando i timidi occhi, assieme al cielo vide l’amante.