Verre ha rubato quattro statue bellissime

In urbe Messana in Heii aedibus erat sacrarium, a maioribus traditum perantiquum, in quo signa pulcherrima quattuor summo artificio, summa nobilitate, quae quemvis nostrum delectare possent, unum Cupidinis marmoreum Praxiteli; alterum Herculis egregie factum ex aere; id dicebatur esse Myronis, ut opinor, et certe. Ante hos deos erant arulae, quae cuivis religionem sacrarii significabant. Praeterea erant duo aenea signa, non maxima, verum eximia venustate; – earum artifex quis (erat) quisnam? – Polycletum esse dicebant. Quicumque Messanam venerat, haec visere solebat. Haec omnia signa quae dixi, iudices, ab Heii sacrario Verres abstulit; nullum, inquam, horum reliquit.

Cicerone

Nella città di Messina nella casa di Eio c’era una cappella, molto antica lasciata dagli antenati, nella quale (vi erano) quattro bellissime statue di pregiatissima fattura, di grandissima rinomanza, che potevano deliziare chiunque di noi, una un Cupido di marmo di Prassitele; l’altra di Ercole di bronzo realizzata egregiamente; si diceva fosse di Mirone, come credo, e senza dubbio. Davanti a queste divinità c’erano dei piccoli altari, che indicavano a chiunque la venerabilità della cappella. Vi erano inoltre due statue di bronzo, non molto grandi, ma di straordinaria finezza; – chi (era) l’artefice di esse? Chi mai? – dicevano fosse Policleto. Chiunque fosse giunto a Messina, era solito andare a vederle. Tutte queste statue che ho detto, o giudici, Verre rubò dalla cappella di Eio; nessuna di queste, dico, ha lasciato.