Sepolture di filosofi

Socrates, cum in carcere de immortalitate animorum disputavisset et iam moriendi tempus urgeret, interrogatus a Critone, quem ad modum sepeliri vellet, «Multam vero» inquit «operam, amici, frustra consumpsi; Critoni enim nostro non persuasi me hinc avolaturum neque mei quicquam relicturum. Verum tamen, Crito, si me adsequi potueris, ut tibi videbitur, sepelito. Sed, mihi crede, nemo me vestrum, cum hinc excessero, consequetur». Durior Diogenes, et is quidem eadem sentiens, sed asperius: proici se iussit inhumatum. Tum amici horrescent: «Volucribusne et feris?». «Minime vero curo» inquit, «sed bacillum propter me, quo abigam, ponitote». «Quomodo poteris?» illi, «Non enim animadvertes!». «Quid igitur mihi ferarum laniatus oberit nihil sentienti?».

Cicerone

Socrate, dopo che in carcere ebbe discusso dell’immortalità delle anime e poiché ormai incombeva il momento della morte, essendogli stato chiesto da Critone come volesse essere sepolto, disse: «Amici, ho sprecato molta fatica invano; infatti non ho convinto il nostro Critone che io volerò via da qui e non lascerò niente di me. Tuttavia, Critone, se potrai seguirmi, seppelliscimi come ti sembrerà opportuno. Ma, credimi, nessuno di voi mi raggiungerà, quando andrò via da qui». Più duro (fu) Diogene, nonostante anche lui pensasse le stesse cose, ma, (si esprimeva) in maniera più cruda: ordinò che venisse gettato via insepolto. Allora gli amici inorridiscono: «Agli uccelli e alle bestie?». «Niente affatto – disse – ma ponete un bastoncino con cui io li scacci». «Come potrai?» quelli, «infatti non sentirai!». «A cosa dunque mi nuocerà il morso delle bestie, se non sentirò nulla?».