Serenità d’animo anche di fronte alla morte

Mirabile est quam tranquillus fuerit Canus cum ad mortem duceretur, quae dixerit, quae fecerit. Ludebat latrunculis. Cum centurio, damnatos ad supplicium trahens, illum quoque vocavit, Canus calculos numeravit et sodali suo: « Vide inquit – ne post mortem meam mentiaris te vicisse». Tum annuens centurioni: «Testis eris me uno calculo antecedere». Tristes erant amici amissuri talem virum. «Quid – inquit – maesti estis? Vos semper quaeritis an immortales animae sint; ego mox id sciam». Nec desiit veritatem in ipso fine scrutari et de morte sua disceptare. Tum cum amicus philosophus eum interrogavisset: «Quid, Cane, nunc cogitas?»; Canus respondit: «Observare proposui an animus sentiat se ex corpore discedere necne». Et amicis promisit se postea eis indicaturum esse quae sit condicio animae.

Seneca

È sorprendente quanto Cano sia stato tranquillo mentre veniva condotto a morte, quali cose abbia detto, quali cose abbia fatto. Giocava a dama con dei ladri. Quando il centurione, che portava i condannati al supplizio, chiamò anche lui, Cano contò le pedine e disse al suo compagno: “Bada di non affermare falsamente, dopo la mia morte, che avevi vinto”. Allora facendo cenno al centurione: “Sarai testimone che io lo superavo di una pedina”. Gli amici, che erano sul punto di perdere un tale uomo, erano tristi. “Perchè – disse – siete addolorati? Voi vi chiedete sempre se le anime siano immortali; io tra poco lo saprò”. E non cessò, nella circostanza della sua stessa fine, di cercare di conoscere la verità e di discutere sulla sua morte. Allora poiché un amico filosofo gli aveva domandato: “Che cosa, Cano, pensi in questo momento?”; Cano rispose: “Mi sono prefisso di controllare se l’anima percepisca di separarsi dal corpo o no”. E promise agli amici che dopo avrebbe loro rivelato quale fosse il destino dell’anima.