Timoleonte fa uccidere il fratello (II)

Hac mente per haruspicem communemque affinem, cui soror nupta erat, fratrem tyrannum interficere maluit. Ipse non modo manus non attulit (ind. perf. di affero), sed ne aspicere quidem fraternum sanguinem voluit. Nam dum res conficeretur, procul in praesidio fuit, ne quis satelles posset succurrere. Hoc praeclarissimum eius factum non pari modo probatum est ab omnibus. Nonnulli enim laesam ab eo pietatem putabant et invidia laudem virtutis obterebant. Mater vero post id factum neque domum ad se filium voluit admittere neque aspicere, eum fratricidam impiumque detestans. Quibus rebus ille adeo est commotus, ut nonnumquam vitae finem facere voluerit atque ex ingratorum hominum conspectu morte decedere.

Cornelio Nepote

Con questa disposizione d’animo preferì far assassinare il fratello tiranno tramite un auruspice e un parente comune, a cui era sposata una sorella. Egli personalmente non solo non vi mise mano, ma non volle nemmeno vedere il sangue fraterno. Infatti, mentre si compiva il delitto, rimase lontano nella guarnigione, affinché nessuna guardia del corpo potesse intervenire in aiuto. Questa sua nobilissima azione non fu apprezzata in egual modo da tutti. Alcuni infatti ritenevano che avesse violato la pietà familiare e per odio screditavano la fama del suo valore. La madre, per di più, dopo quel fatto non volle nè ricevere nella sua casa il figlio, nè guardarlo, maledicendolo come fratricida e sacrilego. Venne talmente scosso da queste accuse, da volere talvolta por fine alla sua vita e togliersi con la morte dalla vista degli uomini ingrati.