Attico, aiutami!

Tu, ut facis, opera, consilio, gratia tua me iuva. Noli me obiurgare! Nam quod («quanto al fatto che») me tam saepe et tam vehementer obiurgas et animo infirmo me esse dicis, quaeso, ecquod tantum malum est quod in mea calamitate non sit? Ecquis umquam ex tam amplo statu, in («per») tam bona causa, tantis facultatibus ingenii, tantis praesidiis omnium bonorum in tantam perniciem concidit? Possum oblivisci quis fuerim? Possum non sentire quis sim, quo caream honore, qua gloria, quibus liberis uxoreque, quibus fortunis, quo fratre? Mitto (= Omitto) cetera intolerabilia: etenim dolore impedior. Utrum tandem accusandus sum quod doleo an quod statum meum non defendi? Haec tibi scripsi ut relevares me, non ut obiurgatione dignum me putares. Ad te minus multa scribo quod maerore impedior; tu, ut adhuc fecisti, quam plurimis de rebus ad me scribe, ne quid ignorem.

Cicerone

Tu, come fai, sostienimi con l’opera, con il consiglio, con il favore. Non rimproverarmi! Infatti quanto al fatto che mi rimproveri tanto spesso e con tanta veemenza e dici che sono d’animo fiacco, di grazia, vi è un male tanto grande che non sia nella mia disgrazia? Chi mai da una posizione così ragguardevole, per una causa così giusta, con capacità tanto grandi di intelletto, con risorse così grandi di ogni bene, è caduto in una sventura tanto grande? Posso dimenticare chi sono stato? Posso non sentire chi sono, di che onore sono privo, di che gloria, di che figli e moglie, di che fortune, di che fratello? Ometto le altre cose intollerabili: infatti sono impedito dal dolore. Insomma sono da accusare perché soffro o perché non ho difeso la mia condizione? Ti ho scritto queste cose affinché mi confortassi, non affinché mi ritenessi degno di un rimprovero. Ti scrivo molte meno cose poiché sono impedito dalla tristezza; tu, come hai fatto finora, scrivimi di quante più cose, affinché io non ignori qualcosa.