Quando la giurisprudenza non basta

Nec quemquam praetereat eloquentiam in iudiciis regnare: nam plus valet quod affectus movet quam res ipsae et argumenta. Namque argumenta plerumque nascuntur ex causa, et pro meliore parte plura sunt semper, ut, qui per haec vicit, non defuisse sibi advocatum sciat: ubi vero animis iudicum vis adferenda est et ab ipsa veri contemplatione abducenda mens, maxime cum rebus desit decus vel innocentia, ibi proprium oratoris opus est. Hoc non docet litigator, hoc causarum libellis non continetur. Probationes enim efficiant sane, ut causam nostram meliorem esse iudices putent: adfectus praestant ut etiam id velint; sed id, quod volunt, credunt quoque. Nam cum irasci, favere, odisse, misereri coeperunt, agi iam rem suam existimant, et, sicut amantes de forma iudicare non possunt, quia sensum oculorum praecipit animus, ita omnem veritatis inquirendae rationem iudex omittit occupatus adfectibus: aestu fertur et velut rapido flumini obsequitur.

Quintiliano

Non sfugga a nessuno che nei processi domina l’eloquenza: infatti è più efficace ciò che suscita sentimenti della cosa stessa e delle prove. E infatti le prove generalmente hanno origine dalla causa, e per la parte migliore sono sempre molte, tanto che, chi ha vinto per mezzo di queste (= riferito alle prove), sa che non gli è mancato un avvocato: ma quando bisogna far violenza sugli animi dei giudici e la mente deve essere distolta dalla contemplazione stessa della verità, soprattutto quando assieme alle prove manca la dignità o l’innocenza, lì è il compito specifico dell’oratore. Questo non lo insegna il litigante, questo non è contenuto nei manuali dei processi. Ammettiamo pure che le argomentazioni facciano in modo che i giudici ritengano migliore la nostra causa: i sentimenti fanno in modo che vogliano anche ciò; ma credono anche a ciò, perché lo vogliono. Infatti, quando hanno cominciato ad adirarsi, a favorire, a detestare, a provare pietà, ritengono che si tratti la propria causa, e, come gli amanti non possono giudicare della bellezza, poiché il cuore si impadronisce del senso della vista (lett: “degli occhi”), così il giudice, occupato dai sentimenti, perde ogni modo di ricercare la verità: è trasportato dall’impeto e, per così dire, asseconda un fiume impetuoso.