Cicerone parla di sé

Erat eo tempore in nobis summa gracilitas et infirmitas corporis, procerum et tenue collum: qui habitus et quae figura non procul abesse putatur a vitae periculo, si accedit labor et laterum magna contentio. Eoque magis hoc eos quibus eram carus commovebat, quod omnia dicebam sine remissione, sine varietate, vi summa vocis et totius corporis contentione. Itaque cum me et amici et medici impellerent ut causas agere desisterem, quodvis (acc. neutro da quivis) periculum suscipere putavi potius quam a sperata in orationibus gloria discedere.

Cicerone

A quel tempo in me vi era una grandissima gracilità e di una debolezza fisica, un collo lungo e sottile: condizione fisica e aspetto che si ritiene non essere lontano dal pericolo di morte, se si aggiunge l’affaticamento e un grande sforzo dei polmoni. Ciò tanto più turbava quelli a cui ero caro, poiché dicevo ogni cosa senza distensione, senza varietà, con grandissimo sforzo della voce e di tutto il corpo. Pertanto, benché sia gli amici sia i medici mi spingevano a smettere di trattare cause, io ritenni di affrontare qualsiasi pericolo piuttosto che allontanarmi dalla desiderata gloria nelle orazioni.