Cicerone scrive alla moglie dall’esilio

Brundisio profecti sumus die tertio ante Kalendas Maias et per Macedoniam Cyzicum petivimus. Hic ego vestrum omnium et patriae desiderio vehementissime afficior. O me perditum! O afflictum! Cur nunc te, mulierem et corpore et animo aegram, te rogem ut venias? Non rogem? Sine te igitur sim? Sic agas, precor: si est spes nostri reditus, eam mihi confirmes et rem adiuves (cerca di mandare avanti); sin, ut ego metuo, transactum est (tutto è già deciso), quocumque modo potes, fac ut venias. Unum hoc scias: si te mecum habebo, videbor mihi non omnino perisse. Sed quid de Tulliola nostra fiet? Iam id vos vidite: ego utinam possem providere! Sed certe, quocumque modo res se habet, illius misellae matrimonio et famae serviendum est. Filiolus meus autem quid aget? Iste vero sit in sinu semper et complexu tuo. Plura scriberem, sed impedit maeror. Tu, quiquid egeris, me certiorem facias.

Ad Limina (2) – Pag.206

Partii da Brindisi il 30 aprile, diretto a Cizico attraverso la Macedonia.Qui sono preso dal desiderio fortissimo di voi e della patria. Oh me rovinato, abbattuto! Perché potrei chiederti di raggiungermi, donna malata e stremata nelle forze fisiche e morali? Non dovrei chiedertelo? Rimarrò dunque senza di te? Penso di fare così: se esistono speranze di un mio ritorno, rafforzale e datti da fare in questo senso; se invece, come temo, la partita è chiusa, cerca di raggiungermi a qualsiasi costo. Questo solo sappi bene: se ti avrò con me, non mi sembrerà di aver perso tutto. Ma che avverrà della mia piccola Tullia? Vedete ormai voi: se potessi io provvedere! In ogni caso, è certo che quella poverina deve tener conto sia del suo matrimonio che della sua reputazione. E poi, che farà il mio figliolo? Egli vorrei fosse sempre in braccio e fra le tue braccia. Non posso scrivere oltre, a questo punto; me lo impedisce lo sconforto. Qualunque cosa tu farai informami.