De Vita Caesarum – Divus Iulius – 85-89

[85] Plebs statim a funere ad domum Bruti et Cassi[i] cum facibus tetendit atque aegre repulsa obuium sibi Heluium Cinnam per errorem nominis, quasi Cornelius is esset, quem grauiter pridie contionatum de Caesare requirebat, occidit caputque eius praefixum hastae circumtulit. postea solidam columnam prope uiginti pedum lapidis Numidici in foro statuit [in]scripsitque parenti patriae. apud eam longo tempore sacrificare, uota suscipere, controuersias quasdam interposito per Caesarem iure iurando distrahere perseuerauit.

[86] Suspicionem Caesar quibusdam suorum reliquit neque uoluisse se diutius uiuere neque curasse quod ualitudine minus prospera uteretur, ideoque et quae religiones monerent et quae renuntiarent amici neglexisse. sunt qui putent, confisum eum nouissimo illo senatus consulto ac iure iurando etiam custodias Hispanorum cum gladiis + adinspectantium + se remouisse. alii e diuerso opinantur insidias undique imminentis subire semel quam cauere [ . . . . . . ] solitum ferunt: non tam sua quam rei publicae interesse, uti saluus esset: se iam pridem potentiae gloriaeque abunde adeptum; rem publicam, si quid sibi eueniret, neque quietam fore et aliquanto deteriore condicione ciuilia bella subituram.

[87] Illud plane inter omnes fere constitit, talem ei mortem paene ex sententia obtigisse. nam et quondam, cum apud Xenophontem legisset Cyrum ultima ualitudine mandasse quaedam de funere suo, aspernatus tam lentum mortis genus subitam sibi celeremque optauerat; et pridie quam occideretur, in sermone nato super cenam apud Marcum Lepidum, quisnam esset finis uitae commodissimus, repentinum inopinatumque praetulerat.

[88] Periit sexto et quinquagensimo aetatis anno atque in deorum numerum relatus est, non ore modo decernentium, sed et persuasione uolgi. siquidem ludis, quos primo[s] consecrato[s] ei heres Augustus edebat, stella crinita per septem continuos dies fulsit exoriens circa undecimam horam, creditumque est animam esse Caesaris in caelum recepti; et hac de causa simulacro eius in uertice additur stella. Curiam, in qua occisus est, obstrui placuit Idusque Martias Parricidium nominari, ac ne umquam eo die senatus ageretur.

[89] Percussorum autem fere neque triennio quisquam amplius superuixit neque sua morte defunctus est. damnati omnes alius alio casu periit, pars naufragio, pars proelio; nonnulli semet eodem illo pugione, quo Caesarem uiolauerant, interemerunt.

[85] Appena ebbe termine il rito funebre, la plebe si diresse, con le torce, verso la casa di Bruto e di Cassio; respinta a fatica si imbatté in Elvio Cinna e scambiandolo, per un equivoco di nome, con Cornelio, quello che il giorno prima aveva pronunciato una violenta requisitoria contro Cesare, lo uccise e la sua testa, conficcata su una lancia, fu portata in giro. Più tardi fece erigere nella piazza una massiccia colonna di marmo di Numidia, alta quasi venti piedi, e vi scrisse sopra: «Al padre della patria». Si conservò per lungo tempo l’abitudine di offrire sacrifici ai piedi di questa colonna, di prendere voti e di regolare certe controversie giurando in nome di Cesare.

[86] Ad alcuni suoi amici Cesare lasciò il sospetto che non volesse vivere più a lungo e che non si preoccupasse del declinare della sua salute. Per questo non si curò né di quello che annunciavano i prodigi né di ciò che gli riferivano gli amici. Alcuni credono che, facendo eccessivo affidamento nell’ultimo decreto del Senato e nel giuramento dei Senatori, abbia congedato le guardie spagnole che lo scortavano armate di gladio. Secondo altri, al contrario, preferiva cadere vittima una volta per sempre delle insidie che lo minacciavano da ogni parte, piuttosto che doversi guardare continuamente. Dicono che fosse solito ripetere che «non tanto a lui, quanto allo Stato doveva importare la sua salvezza; per quanto lo riguardava già da tempo aveva conseguito molta potenza e molta gloria; se gli fosse capitato qualcosa, la Repubblica non sarebbe certo stata tranquilla e in ben più tristi condizioni avrebbe subito un’altra guerra civile».

[87] Su una cosa tutti furono d’accordo, che in un certo senso aveva incontrato la morte che aveva desiderato. Infatti una volta, avendo letto in Senofonte che Ciro, durante la sua ultima malattia, aveva dato alcune disposizioni per il suo funerale, manifestò la sua ripugnanza per un genere di morte così lento e se ne augurò uno rapido. Il giorno prima di morire, a cena da Marco Lepido, si venne a discutere sul genere di morte migliore ed egli disse di preferire quello improvviso e inaspettato.

[88] Morì a cinquantacinque anni e fu annoverato tra gli dei, non per formalità da parte di coloro che lo decisero, ma per intima convinzione del popolo. In realtà, durante i primi giochi che Augusto, suo erede, celebrava in suo onore, dopo la consacrazione, una cometa rifulse per sette giorni di seguito, sorgendo verso l’undicesima ora e si sparse la voce che fosse l’anima di Cesare accolta in cielo. Anche per questo si aggiunse una stella alla sommità della sua statua. Si stabilì di murare la curia in cui era stato ucciso, di chiamare le idi di marzo «giorno del parricidio» e di sospendere in quella ricorrenza i lavori del Senato.

[89] Quanto ai suoi assassini, nessuno gli sopravvisse più di tre anni e nessuno morì di morte naturale. Tutti, dopo essere stati condannati, per un verso o per l’altro, morirono in modo tragico, chi per naufragio, chi in battaglia. Alcuni poi si uccisero con lo stesso pugnale con il quale avevano assassinato Cesare.