I veri piaceri sono quelli spirituali

Praeterea duo genera sunt voluptatum. Corporales morbus inhibet, non tamen tollit; immo, si verum aestimes, incitat. Magis iuvat bibere sitientem, gratior est esurienti cibus; quidquid ex abstinentia contingit avidius excipitur. Illas vero animi voluptates, quae maiores certioresque sunt, nemo medicus aegro negat. Has quisquis sequitur et bene intellegit omnia sensuum blandimenta contemnit. ‘O infelicem aegrum!’ Quare? quia non vino nivem diluit? quia non rigorem potionis suae, quam capaci scypho miscuit, renovat fracta insuper glacie? quia non ostrea illi Lucrina in ipsa mensa aperiuntur? quia non circa cenationem eius tumultus cocorum est ipsos cum opsoniis focos transferentium? Hoc enim iam luxuria commenta est: ne quis intepescat cibus, ne quid palato iam calloso parum ferveat, cenam culina prosequitur.

Esperienze di traduzione – Pag.227 n.9 – Seneca

Ci sono, poi, due generi di piaceri. La malattia impedisce i piaceri fisici, ma non li elimina; anzi, a ben guardare, li stimola. Se uno ha sete, bere gli piace di più; il cibo è più gradito a chi ha fame; tutto quello che si riceve dopo un periodo di astinenza, si prende con maggiore avidità. Ma i piaceri dell’animo che sono più grandi e più sicuri, nessun medico li nega all’ammalato. Chi tende a essi e li conosce bene, disprezza tutti gli allettamenti dei sensi. “Povero malato!” E perché? Perché non può sciogliere la neve nel vino? Perché non può mantenere fresca la sua bevanda, preparata in una capace coppa, aggiungendovi pezzi di ghiaccio? Perché non gli vengono aperte proprio sulla tavola le ostriche del lago Lucrino? Perché mentre cena non c’è intorno a lui un trambusto di cuochi che insieme alle pietanze portano i fornelli? Ormai la dissolutezza ha escogitato anche questo: per evitare che i cibi diventino tiepidi, che il palato ormai indurito li senta poco caldi, la cucina fa da scorta alla cena.